Da quando Hollywood si è resa conto di avere estromesso le minoranze etniche/culturali per decenni, è stata protagonista di un movimento volto a favorire la diversità e l’integrazione. Negli ultimi anni, la percentuale di addetti ai lavori diversi dal classico stereotipo “maschio bianco caucasico” è aumentata, e alcuni film campioni di incassi hanno sfoderato con orgoglio protagonisti afroamericani e donne combattive. Al giorno d’oggi, possono apparire come elementi scontati, ma basta guardarsi alle spalle per scoprire che la situazione era molto diversa anche solo cinque anni fa.
Forse proprio a causa del rinnovamento culturale in atto, le ultime edizioni degli Oscar sono state subissate di critiche. Oggetto di scandalo è la mancanza di diversità tra i candidati nelle principali categorie, in particolare quelle attoriali e registiche. E così, dopo l’assenza di rappresentanza afroamericana, a balzare agli occhi quest’anno è la mancata presenza di registe donne.
Il problema è, fondamentalmente, soltanto uno: gli Oscar, così come tutte le cerimonie di premiazione in qualsiasi campo, devono celebrare i migliori. Non è detto che i migliori di un’annata, siano anche “diversi”. Gli Oscar sono soltanto il sintomo di una discriminazione protratta nel corso degli ultimi decenni, e non la malattia. La percentuale di registe rimane, infatti, ancora troppo basso rispetto ai colleghi uomini. Le cose, però, si stanno smuovendo in tal senso, e moltissimi blockbuster attesi nel 2020 saranno diretti da donne.
Ad entrare a gamba tesa, con una proposta risolutiva, è Alma Har’el. Secondo la direttrice di Honey Boy, l’Academy dovrebbe differenziare la categoria “miglior regista”, istituendo due premi diversi: uno per gli uomini, e l’altro per le donne. La stessa cosa, d’altro canto, avviene anche per gli attori. Il suggerimento sembra legittimo, ponderato, e facilmente attuabile. Sembra.
Seguendo lo stesso principio, infatti, la divergenza tra gender dovrebbe estendersi a tutte le categorie premiabili. Perché non dare il giusto spazio al “miglior compositore di colonne sonore uomo”? Perché non celebrare il “miglior direttore della fotografia donna?”. Sarebbe, in effetti, un cambiamento epocale, e che potrebbe garantire nuova spinta propulsiva ad una manifestazione che, negli ultimi anni, è apparsa alla disperata ricerca di ascolti.
Così facendo, tuttavia, non si rischierebbe di creare una ghettizzazione? Siamo certi che, facendo competere uomini e donne in due categorie diverse, sarebbero le pari opportunità a trionfare? Forse la vera dimostrazione di uguaglianza implicherebbe, invece, l’abbattimento alla base di qualsiasi tipo di distinzione tra i nominati nelle categorie. Anche la divisione dei generi in campo attoriale comincia a sembrare fuori posto, retaggio di un’epoca cinematografica in cui erano gli interpreti di grande richiamo a portare avanti l’industria.
La materia è invero delicata, e chi scrive non lo fa con la presunzione di avere ragione. Anzi, il dibattito è aperto, e se espresso con toni civili può condurre a riflessioni interessanti. Tuttavia, è strano pensare di abbattere le discriminazione costruendo un muro ideale tra i due generi sessuali. Uomini e donne dovrebbero competere nello stesso settore, per conferire validità all’idea di decretare il migliore in assoluto. Consapevoli che, in un anno specifico, i migliori potrebbero essere solo uomini. Oppure solo donne.