Dichiariamolo subito a scanso di equivoci: Downton Abbey è il lungometraggio che davvero sfiora la perfezione. Scrivendo ciò intendiamo che ogni componente con cui è stato assemblato si incastra con le altre in maniera certosina, contribuendo a formare una sinfonia cinematografica dove la forma funziona da custodia preziosa per il contenuto. E da questo ci pare giusto partire: la storia scritta da Julian Fellowes sviluppa i personaggi e le situazioni già amati nello show televisivo ampliandoli e sviluppandone una dimensione più contemporanea, filtrata ovviamente attraverso gli stilemi e le coordinate del film in costume di tradizione britannica.
Downton Abbey è un’opera che parla infatti dell’importanza della tradizione eppure ha il coraggio di mettere in scena una piccola grande rivoluzione sociale. Sa mostrare la fierezza e la saggezza del passato ma parla di temi che riguardano il nostro presente. Fattore forse più importante di tutti, il film diretto da Michael Engler possiede un cuore pulsante, in cui ogni personaggio sviluppa il proprio arco narrativo con pienezza emotiva. Ed ecco allora che una classica storia di incontro, attrazione, garbato corteggiamento può diventare emozionante da vivere, e un bacio rubato in un momento di silenzio si trasforma nella scena più romantica vista sul grande schermo da tempo immemore. Downton Abbey non è semplicemente una riproposizione laccata di quanto abbiamo ammirato sul piccolo schermo: al contrario ne è un aggiornamento lucido, estremamente preciso, che regala profondità al progetto e lo proietta dentro il nostro presente e – perché no? – speriamo anche nel futuro.
In una cast di attori che conosce a meraviglia il proprio ruolo ma sa anche come variarne le corde con minuzia magistrale, a svettare è la grande decana Maggie Smith, impareggiabile nel conferire alla sua Violet Crawley la classe, l’ironia caustica e la saggezza profonda dei migliori personaggi che il cinema britannico ha saputo regalarci nel corso degli anni. Downton Abbey possiede radici profonde, possenti. In un gioco di specchi quasi sorprendente, guardando questo lungometraggio più che la serie TV o il precedente Gosford Park di Robert Altman – che ricordiamo ha regalato a Fellowes l’Oscar per la sceneggiatura originale – a tornare alla mente è Quel che resta del giorno, capolavoro di James Ivory tratto dal bellissimo romanzo di Kazuo Ishiguro. Come in quel film anche in questo di Engles nella rappresentazione dei due mondi che si incontrano a prevalere è il sentimento, messo in scena in maniera ancor più potente se deve essere trattenuto a causa delle etichette e delle ferree regole sociali.
Formalmente ineccepibile, Downton Abbey è un melodramma di raffinatezza e introspezione psicologica inusitate. Una gioia per gli occhi e una boccata di aria fresca per chi ha bisogno di emozionarsi grazie al racconto più potente: quello che parla di esseri umani.