Ralph spacca internet, sul web siamo tutti vulnerabili: la recensione

Ralph spacca internet, sul web siamo tutti vulnerabili: la recensione

Di Lorenzo Pedrazzi

Indipendentemente dal risultato finale, il primo Ralph Spaccatutto ha il merito di aver tentato una strada che il cinema percorre raramente, ovvero la rielaborazione dell’immaginario videoludico in un’opera che ne riconosce il valore creativo, celebrandone l’importanza nella fantasia comune. Con Ralph spacca internet, però, il discorso si amplia: la necessità di variare la formula – e di sognare orizzonti ancora più vasti, legati all’attualità – induce i registi Phil Johnston e Rich Moore a mettere in scena l’universo sconfinato della rete, con le sue manie e le sue numerose insidie, giocando sullo straniamento di due “pesci fuor d’acqua” come Ralph (John C. Reilly) e Vanellope (Sarah Silverman).

La trama riparte dall’epilogo di Ralph Spaccatutto, nonostante siano passati alcuni anni: tra il nerboruto antagonista di Fix-It Felix Jr. e la principessina di Sugar Rush è nata una splendida amicizia, ma quando il cabinato di quest’ultimo perde il volante, il gioco rischia di essere rottamato. L’unica speranza è trovare un ricambio su internet, sfruttando la nuovissima connessione wi-fi della sala giochi. Su eBay c’è qualcuno che vende un volante di Sugar Rush a 200 dollari, troppo per il gestore degli arcade, quindi Ralph e Vanellope decidono di esplorare la rete per acquistare il ricambio prima che sia troppo tardi. Purtroppo, però, internet è un luogo caotico e disorientante, sottoposto a leggi che non si possono evadere: così, mentre Ralph diventa una star del web per racimolare denaro, Vanellope resta affascinata da un gioco di corse on-line chiamato Slaughter Race, dove non ci sono circuiti prestabiliti, e il free roaming concede una libertà che la principessina ha sempre sognato. Tra la nostalgia casalinga di Ralph e il temperamento inquieto di Vanellope, il conflitto è dietro l’angolo, ma potrebbe agevolare la maturazione di entrambi.

Di fatto, Ralph spacca internet è la seconda tappa di un percorso formativo: se nel primo film Ralph doveva imparare che la sua maschera (cioè il suo ruolo di “cattivo” in Fix-It Felix Jr.) non corrispondeva necessariamente alla sua identità reale, smarcandosi così dalla posizione di reietto, in questo sequel ha invece bisogno di rafforzare la sua individualità. Come tutti quelli che si lasciano alle spalle la solitudine per abbracciare una più intensa vita sociale, Ralph tende ad affidare la sua felicità esclusivamente agli altri, stabilendo un legame di dipendenza che sfocia nell’ossessione; di conseguenza, deve riapprendere il valore della solitudine per lasciare il giusto spazio alla libertà del prossimo (Vanellope), in modo da intrattenere con lei un rapporto sano, non tossico. Al di là della retorica un po’ stucchevole sull’amicizia, nel “sottotesto” del film c’è una notevole maturità, un desiderio di accompagnare il giovane pubblico verso la consapevolezza dell’età adulta: non siamo ai livelli di Inside Out, ma Ralph spacca internet riesce comunque a evidenziare l’inevitabilità del distacco nell’esperienza umana, il suo valore di crescita e la possibilità di conviverci, senza drammi.

Sullo sfondo si agita l’infinita megalopoli del web, dove lo sguardo si perde tra le moltissime possibilità di scelta. Johnston e Moore trasfigurano la rete con lo stesso approccio che hanno usato per gli arcade, ormai una costante nel cinema d’animazione hollywoodiano: si prende un fenomeno della nostra quotidianità (in questo caso internet) e se ne immaginano le dinamiche interne come se fossero regolate da processi umani, razionalizzandone i singoli elementi per dar loro un “corpo”. In tal modo, gli utenti diventano dei piccoli avatar che si spostano in cabine evanescenti, la barra di ricerca è un bibliotecario col vizio del riempimento automatico, il dark web coincide con i bassifondi della megalopoli, i blocchi dei pop-up sono muscolosi buttafuori, mentre i siti più famosi corrispondono a enormi grattacieli o altre architetture futuristiche. Ralph spacca internet rappresenta in modo verosimile la nostra alienazione telematica, fatta di celebrità effimera e meme assuefacenti, ma l’ovvia e irritante connivenza con i colossi del web (accompagnati dai rispettivi loghi) li mette al riparo da qualunque tipo di ironia, minando l’onestà dell’operazione: la “satira”, se così vogliamo chiamarla, è rivolta solo alla parte debole della rete – gli utenti privati – e non ai suoi veri tiranni, la cui legittimità non viene mai messa in discussione.

L’umorismo si concentra quindi sulle cattive abitudini degli internauti, la loro (nostra) suggestionabilità di fronte a tutto ciò che fa tendenza, tra video con gattini e allettanti pop-up che perseguitano i fruitori dei siti come venditori di strada. Inoltre, siccome il web è ormai la sede privilegiata dell’immaginario collettivo, Johnston e Moore ne approfittano per popolare il film di personaggi noti, soprattutto appartenenti alla scuderia Disney: è proprio in questa girandola di riferimenti pop che Ralph spacca internet esprime la sua natura post-moderna, affermandosi come uno dei film più autoconsapevoli del cinema contemporaneo. Le principesse disneyane che si rilassano in un boudoir non sono le stesse che abbiamo visto nei classici d’animazione, bensì il loro corrispettivo dei meme internettiani, figlie di un disincanto che non esiste nelle loro avventure originali, ma è ben presente nelle gag che circolano sulla rete; il risultato è indubbiamente spassoso, ma anche esasperato e demistificante, più interessato alla distruzione che alla costruzione del “mito”. La comicità del film lavora spesso su questa disillusione, e lo fa in modo disarmante, unendo candore infantile e malizia adulta: emblematico il sovversivo numero musicale sulle note di Alan Menken, paradossalmente un artista che quel “mito”, grazie alle sue colonne sonore leggendarie, ha contribuito a fondarlo.

Per ritrovare uno spirito costruttivo, insomma, bisogna tornare all’emotività dei personaggi, cui non manca una certa credibilità. In fondo, l’insicurezza di Ralph riflette la vulnerabilità di tutti noi, persi nei meandri del web alla ricerca di un po’ d’approvazione o di un surrogato d’affetto: l’efficacissima trovata finale, vicina al retaggio dei monster movie, incarna proprio questa disperazione intimista, e dimostra quanto il film cerchi una via intermedia tra il linguaggio dei bambini e quello dei loro genitori. Non a caso, anche le due scene bonus ammiccano ai gusti e all’esperienza degli adulti, pur essendo fruibili da tutti: ricordatevi di non alzarvi fino al termine dei titoli di coda.

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