Daredevil, l’apocalisse di Matt Murdock nella stagione 3

Daredevil, l’apocalisse di Matt Murdock nella stagione 3

Di Lorenzo Pedrazzi

C’è sempre stata una forte antinomia nel personaggio di Matt Murdock, perennemente lacerato da un conflitto interiore che sembra destinato a restare insolubile: cattolico praticante, animato da un rapporto contraddittorio con la religione, l’eroe indossa un costume diavolesco e pattuglia Hell’s Kitchen (nome che già dice tutto) come se fosse il braccio armato di Dio, cercando sempre un’assoluzione per l’uso della violenza sui criminali. Non a caso, Rinascita di Frank Miller brulica di simbolismi cristiani, e l’intero percorso narrativo di Murdock è assimilabile alle tappe di una Via Crucis, con tanto di iconografie ricavate direttamente dall’arte religiosa (la salita sul Golgota, la crocifissione, la Pietà…). Sapevamo già dal principio che la terza stagione di Daredevil sarebbe stata ispirata al capolavoro di Miller e David Mazzucchelli, ma gli adattamenti operati dai film e dalle serie Marvel non sono mai letterali: attingono alle opere originali per trarne alcuni spunti, alcuni elementi di base, e poi li rielaborano secondo le proprie esigenze. Partendo dall’epilogo di The Defenders, il nuovo showrunner Erik Oleson eredita un protagonista già disperato, a cui Kingpin deve solo dare l’ultima spinta per farlo cadere nel baratro, un po’ come nel fumetto di Miller.

Certo, il contesto è diverso: la New York dei nostri giorni non è più la metropoli ruvida e febbricitante degli anni Ottanta, dove l’edonismo reaganiano degli yuppies esaltava le ingiustizie sociali, e la transizione di Matt Murdock da supereroe a homeless esprimeva una forza critica particolarmente intensa. La terza stagione di Daredevil ha l’intelligenza di assimilare il modello di Rinascita nel proprio universo, senza imporre citazioni o riferimenti gratuiti per il solo gusto di compiacere i fan. Così, ritroviamo il nostro Matt (Charlie Cox) ancora vivo dopo il crollo del grattacielo della Midland Circle, grazie a un condotto idrico che lo ha rigettato sulle rive dell’Hudson. Sorella Maggie (Joanne Whalley), donna spigolosa e risoluta, si prende cura di lui nell’orfanotrofio dove ha trascorso l’infanzia, ma l’eroe è inquieto: i suoi ipersensi paiono danneggiati, e talvolta lo tradiscono. Ciononostante, Matt improvvisa il suo costume nero delle origini – quello rosso è andato distrutto nel crollo – e torna a pattugliare le strade, riprendendo lentamente confidenza con i suoi poteri e la sua forma fisica. Intanto, Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio) stringe un accordo con l’agente Ray Nadeem (Jay Ali) dell’FBI per incastrare la malavita albanese, e ottiene gli arresti domiciliari in cambio della sua collaborazione. L’imprevedibile agente Poindexter (Wilson Bethel) viene incaricato di sorvegliarlo, e Kingpin vede subito in lui – uomo psicolabile ma dalla mira prodigiosa – una risorsa da sfruttare. Quando Matt comincia a farsi rivedere in giro, Fisk ricorda le minacce che il giovane avvocato rivolse alla sua amata Vanessa, e intesse un piano per distruggerlo, coinvolgendo involontariamente anche Karen Page (Deborah Ann Woll) e Foggy Nelson (Elden Henson).

Il ritorno all’uniforme nera corrisponde a un intento creativo ben preciso. Se la seconda stagione era servita più che altro per preparare The Defenders e The Punisher, la terza risale alle radici della serie, guardando al successo e alla qualità della prima. L’abbandono del costume rosso è dovuto sia a esigenze pratiche (Matt non ne ha un altro a disposizione) sia a una pressione psicologica interna (l’eroe sente di doverselo riguadagnare), ma in generale c’è l’impressione che la serie sia tornata a quel “minimalismo” visivo ed espressivo che aveva fatto la fortuna dei primi episodi. Oleson evita accuratamente la sovraesposizione non solo di Daredevil, ma anche di Matt Murdock, lasciando che il dramma si sviluppi attorno a lui, e che il peso del suo contributo si avverta soprattutto in assenza. In fondo, è ciò che fece Frank Miller in Rinascita quando allontanò Matt dalla cerchia dei suoi amici, in particolare Glori O’Breen e Foggy, condannati a osservarne il declino da lontano. Ovviamente cambiano le premesse: i dubbi di Matt, in questo caso, nascono soprattutto dal suo rapporto con Dio, e dal suo sentirsi tradito. Se l’avvocato Matt Murdock incarna il suo lato luminoso (ovvero, quello che vive nel rispetto degli insegnamenti cristiani e aiuta i deboli attraverso la Legge), Daredevil rappresenta invece il suo lato più ombroso, obbligato a nascondersi dietro una maschera per compiere una giustizia ben più terrena che divina, stabilita dall’Uomo e non da Dio. Il fallimento del primo – ricordiamo che Matt non ha più nemmeno lo studio legale – favorisce l’avanzamento del secondo, che quindi diviene la sua unica speranza di ottenere dei risultati, anche al costo di ignorare i dettami della religione. Non più Uomo, ma solo Diavolo: Matt sceglie di allontanarsi dagli affetti personali per oltrepassarne i limiti, e non mettere in pericolo chi ama.

Il punto, però, è che nessuno può trascendere i propri vincoli mondani, e infatti ci pensa Kingpin a trascinare Matt di nuovo sulla Terra, costringendolo ad affrontare la sua realtà di individuo mortale: le accuse che Fisk fa cadere su di lui (e su Daredevil) sono estremamente concrete, sufficienti a distruggere sia la sua reputazione che la sua libertà. La serie, di fatto, è ricca di personaggi che aspirano a qualcosa di grande o quantomeno migliore, ma devono fare i conti con l’aggravio di un passato opprimente. Questo discorso vale per Kingpin, ostinatamente aggrappato a quell’unica donna che gli abbia dato un barlume di felicità, e ritorna di prepotenza anche in Poindexter, che ovviamente è il famigerato Bullseye. Ancora una volta, la serie riesce a caratterizzare l’antagonista donandogli un passato drammatico che “giustifica” le turbe del presente, e l’ansia sociale di questo infallibile assassino ha davvero qualcosa di tragico, persino quando sfocia nella violenza. L’Uomo Senza Paura si ritrova quindi ad affrontare un nemico formidabile, che garantisce una sfida brutale dal punto di vista fisico, come si evince dal loro primo scontro.

Sotto questo profilo, Daredevil conferma la qualità delle sue scene d’azione, che diventano particolarmente elaborate quando cercano la continuità del piano sequenza, ormai un vero e proprio marchio di fabbrica: anche stavolta c’è una memorabile hallway fight, senza stacchi di montaggio percepibili, dove stunt, regia e coreografia lavorano all’unisono per ottenere un effetto tanto drammatico quanto spettacolare. La visceralità dell’azione, in effetti, contribuisce a rendere lo spaesamento e la sofferenza di Murdock, che affronta ogni combattimento come se fosse l’ultimo, rischiando la vita anche contro gli avversari meno quotati. Nonostante l’approccio corale, le vicende del protagonista restano le più coinvolgenti anche a livello di climax: le trame parallele suscitano scarso interesse (soprattutto quella di Nadeem), anche se indubbiamente sono tutte funzionali alla storia e costruiscono un’esaustiva visione d’insieme. Ma quando c’è Matt al centro del racconto è tutta un’altra cosa, poiché non esiste nessun altro personaggio sul quale siamo disposti a investire così tanto. Il discorso cambia nel momento in cui la posta in gioco si alza, verso la fine della stagione, quando la tensione resta costante e tutti gli eroi principali – Nadeem compreso – rischiano grosso. Rispetto alle ultimissime serie Netflix della Marvel, Daredevil ha il merito di conservare un buon climax anche nell’epilogo, offrendo una giustificazione psicologica e narrativa al suo “realismo” anti-iconico: per certi aspetti si rivede il Daredevil degli inizi (quello ispirato a L’uomo senza paura di Frank Miller e John Romita Jr.), senza il costume rosso né le sue armi tradizionali, ma questo ritorno alle origini ha un senso nel percorso individuale di Matt Murdock. La ricomposizione dello status quo – come nel finale di Rinascita – onora però il canone del personaggio, e l’eventuale quarta stagione potrebbe continuare su questa strada, ammesso che la serie ne abbia l’opportunità. Senza dubbio la meriterebbe.

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