Dopo il successo della serie Marvel/Netflix di Daredevil (nettamente la migliore della partnership) e la candidatura all’Oscar per l’adattamento di Sopravvissuto – The Martian, Drew Goddard può di certo permettersi film da regista che mostrino maggiormente la sua vena creativa iconoclasta e follemente pulp. Non che non lo abbia già fatto in precedenza, come dimostra il delirante Quella casa nel bosco, ma 7 Sconosciuti al El Royale risulta un lungometraggio ancora più azzardato, personale, addirittura filosofico se interpretato come una riflessione sulla doppiezza della natura umana. E questo perché (quasi) ogni personaggio presente nel film non è chi dice di essere, non compie i gesti che ci si aspetterebbe, non può essere definito attraverso le sole categorie di Bene e Male.
Proviamo a fare ordine in una materia narrativa che, per volere goliardico dello stesso Goddard, fin dall’inizio si rivela un calderone scoppiettante di false piste, menzogne, aspettative disattese. La sequenza che apre il film esplicita immediatamente che lo sceneggiatore e regista vuole giocare con il pubblico attraverso il ritmo della storia, accogliendolo con una presentazione dei personaggi dilatata, frizzante, oseremmo dire tarantiniana (anche se la differenza nell’approccio emotivo e nel tono dal regista de Le iene è tangibile). Dopo che l’ambientazione e la trama principale sono state settate, Goddard inizia a lavorare con il tempo del discorso filmico per depistare il pubblico, portarlo dentro un universo dove nulla è ciò che all’inizio è sembrato. Per alcuni personaggi come il padre Flynn di un impareggiabile Jeff Bridges era comprensibile fin dall’inizio, per altri invece la sorpresa è inaspettata e soprattutto ben confezionata. Quando finalmente parte il gioco di specchi – letterale e figurato – ecco che 7 Sconosciuti al El Royale diventa uno spettacolo gustosamente pulp, senza regole, in cui gli attori si scatenano in un gioco al massacro dallo spirito cinefilo e dissacrante. Ci si diverte eccome a seguire le peripezie dei malcapitati ospiti dell’hotel, ma si rimane anche lietamente spiazzati da alcuni momenti di inaspettata profondità emotiva, come ad esempio quello “morale” in cui l’assoluzione dai propri orrendi peccati arriva da un (falso) prete circondato da fiamme più che metaforiche.
Il cast di interpreti di 7 Sconosciuti al El Royale mostra fin dalla prima sequenza di volersi divertire e soprattutto divertire gli spettatori attraverso prove sopra le righe, logorroiche, stilizzate. Oltre al già citato Bridges, perfetto e meno istrionico rispetto a qualche su ultima apparizione, meritano segnalazione un Chris Hemsworth cattivo fino al midollo e la vera sorpresa del film, Cynthia Erivo, che potrebbe davvero rivelarsi la nuova scoperta di questa stagione cinematografica vista la sua ottima prova anche nell’imminente Widows di Steve McQueen.
7 Sconosciuti al El Royale va preso per quello che è, uno stuzzicante divertimento tra l’autoriale e l’exploitation di Drew Goddard. Non bisogna però sottovalutarlo catalogandolo solamente come brioso e sanguigno cinema d’intrattenimento, perché alcuni discorsi sotterranei sulla natura umana e la sua fragilità si rivelano decisamente ficcanti.
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