Perché tutti parlano del sorriso di Captain Marvel (e invece non dovrebbero)

Perché tutti parlano del sorriso di Captain Marvel (e invece non dovrebbero)

Di Lorenzo Pedrazzi

GUARDA ANCHE: Il primo trailer di Captain Marvel

Tempo fa mi è capitato di leggere un testo pubblicato dal collettivo Locas del Coño, divenuto virale in America Latina e poi anche in Italia, grazie alla traduzione di Alessandra Periccioli. Nel testo, scandito da un ritmo incalzante e progressivo, sono elencate un centinaio di frasi maschiliste che ogni donna è abituata a sentire fin da piccola, legate a distorte aspettative di genere, pregiudizi sociali e schemi culturali ormai radicati in profondità, a tal punto che spesso li diamo per scontati: si parte dalle prime avvisaglie di condizionamento infantile (“Devi fare la brava, le signorine non alzano la voce”) e poi si arriva al sessismo del male gaze (“Balli così per provocarmi, cammini così per provocarmi, mi guardi così per provocarmi”), fino a un epilogo drammatico e potente, in crescendo, dove l’oppressione sfocia nelle sue conseguenze più estreme. Potete leggerlo in versione integrale sul blog Abbatto i Muri.

Ebbene, negli ultimi giorni quel testo mi è ritornato in mente con una certa prepotenza. A innescare il collegamento è stato il recente trailer di Captain Marvel, primo film con protagonista femminile del Marvel Cinematic Universe (lo stesso, per intenderci, dei vari Iron Man, Capitan America, Thor e Spider-Man). Nel trailer si vede Carol Danvers (Brie Larson) che precipita sulla Terra dallo spazio, immemore delle sue origini umane, le quali però si manifestano in lampi mnemonici improvvisi che la riportano all’infanzia e al suo periodo di servizio presso l’areonautica americana. I lettori aspettavano da tempo questo film – Capitan Marvel è una figura chiave nel gruppo degli Avengers, nonché una delle supereroine più importanti della casa editrice newyorkese – ma attorno al personaggio è sorta una polemica sorprendentemente anacronistica, utile a evidenziare l’arretratezza di una certa fan base: l’eroina e la sua interprete sono state accusate di non sorridere abbastanza.

È una storia vecchissima: alle donne si richiede di sorridere perché siano più “carine”, ma anche più avvicinabili e compiacenti. Frasi come “dovresti sorridere di più” sono un tormento per moltissime donne, come si evince dai numerosi esempi raccolti da un articolo dell’Atlantic, dove questo tipo di pressioni trova spazio sia sul luogo di lavoro sia in strada, ad opera di estranei. In ambito professionale, peraltro, c’è anche un elemento ricattatorio da tenere in considerazione: spesso le donne ricevono valutazioni basate proprio sull’umore e sull’atteggiamento che ne consegue (capita nei lavori d’insegnamento), e il sorriso diventa uno strumento essenziale, diciamo pure obbligato, per mantenere buoni rapporti con i colleghi e i superiori. Lo sconforto e la frustrazione – stati d’animo piuttosto comuni sul lavoro – sono molto meno tollerati quando affliggono una donna, mentre negli uomini vengono facilmente giustificati. D’altra parte, molti uomini tendono a vedere una donna che non sorride come una potenziale minaccia, quindi il sorriso diventa sinonimo di distensione, e nutre il perenne bisogno di essere rassicurati. Questo discorso vale anche in ambienti meno controllati, come la strada. La piaga del cat calling (che noi uomini tendiamo sempre a sottovalutare) si esprime anche nella richiesta “innocente” di sorridere, dimenticandosi che quella ragazza seduta in metropolitana, o che cammina sul marciapiede, non ha alcun dovere di gratificarci con un sorriso. In questo genere di aspettative c’è l’incapacità di riconoscere l’interiorità altrui, soprattutto nelle donne, da cui si pretende sempre un certo grado di disponibilità verso il mondo esterno (come madri, mogli, fidanzate, amiche…), il tutto a scapito della sacrosanta individualità.

Julia Alexander, su Polygon, chiama giustamente in causa un’iniziativa di Tatyana Fazlalizadeh, intitolata Stop Telling Women to Smile: l’artista ha intervistato varie donne sulla questione del cat calling, e ne ha disegnato i ritratti per esporli sui muri di New York, accompagnati da frasi significative del tipo “Il mio nome non è baby” o “Il mio abbigliamento non è un invito”. Come raccontano loro stesse nel video, anche una semplice passeggiata diviene un coacervo di molestie e attenzioni indesiderate, che di fatto limitano la libertà personale:

Calata in questo contesto, la polemica su Captain Marvel è ancora più semplice da decifrare: lei stessa rimane vittima del medesimo sessismo, pur trasposto sul piano dell’immaginario collettivo. Eppure, non c’è molta differenza fra il teaser del suo film e quelli degli altri eroi Marvel, da Iron Man a Thor; quando confezionano il primo trailer di una loro produzione, i Marvel Studios puntano sul lato “drammatico”, o quantomeno sul pathos, per instillare un clima di attesa e di tensione. I toni leggeri, l’umorismo e – per l’appunto – i sorrisi arrivano dopo, e spesso nei film sono copiosi, dato che l’approccio è generalmente da action comedy. Nessuno, però, si è mai lamentato del fatto che Iron Man, Capitan America, Thor o Dottor Strange sorridessero poco nei rispettivi trailer e poster, mentre invece Brie Larson e la sua Carol Danvers sono state subito oggetto di tale critica, al punto che qualche “genio” ha ribattezzato l’attrice con un nomignolo poco lusinghiero: “Bored Larson”. La “colpa” sarebbe di avere un’espressione troppo seria, che ovviamente viene percepita come corrucciata, antipatica, distante, fredda. Per tutta risposta, un utente di Twitter ha pensato di comportarsi da vero supervillain, e ha forzato un sorriso sul volto dell’eroina, un po’ come il Joker quando avvelena le sue vittime con la tossina esilarante.

Per fortuna, altri utenti hanno avuto l’ottima idea di riservare lo stesso trattamento ad alcune foto dei supereroi maschi, smontando la controversia sin dalle fondamenta; le immagini sono state condivise anche dalla stessa Brie Larson in risposta alle critiche.

La polemica sembra alimentare quella concezione del fascio-nerd che, attraverso la resistenza al cambiamento e la reiterazione di schemi socio-culturali consolidati, trova sempre maggior fortuna negli ultimi tempi. È un paradosso, soprattutto se pensiamo che molti prodotti dell’immaginario nerd sono ispirati da un animo progressista. Eppure, di fronte a una variazione sul tema (in questo caso parliamo di una supereroina donna) c’è sempre una parte della fan base che reagisce con fastidio, come se si sentisse defraudata di un diritto di nascita: vedere negli eroi dell’immaginario cross-mediale solo ed esclusivamente il proprio riflesso, quello della casta dominante, ovvero il maschio-bianco-etero. Criticare la presunta seriosità di Captain Marvel equivale a cercare disperatamente un appiglio per trascinarla nell’oblio, per decretarne l’inferiorità rispetto alle manifestazioni precedenti della medesima cultura pop… oltre, naturalmente, al banale desiderio di veder sorridere una giovane donna, perché diventi meno severa e più accessibile (quindi più rassicurante). Tutto questo appare ancora più ridicolo, se consideriamo che la polemica nasce da un semplice teaser trailer e da una manciata d’immagini, non dalla visione del film completo.

Ma volete sapere una cosa buffa? Ho rivisto appositamente il teaser mentre mi documentavo sulla vicenda, e ho notato un dettaglio che è stato sottolineato anche da Andrew Dyce su ScreenRant: nel filmato, Carol Danvers sorride almeno tre volte nel giro di due minuti scarsi, e lo fa quando è più naturale, nonostante i toni (relativamente) grevi del trailer. Insomma, una querelle sterile e discriminatoria, per di più basata su false premesse.

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