La storia del cinema poliziesco ci ha regalato tutta una serie di personaggi “maledetti” che sono entrati di diritto nella storia del cinema e nell’immaginario collettivo degli spettatori. Erin Bell, il detective protagonista di Destroyer di Karyn Kusama, si iscrive di diritto alla lista di queste figure destinate a essere ricordate a lungo, così come il lungometraggio stesso.
Negli ultimi tempi infatti non era arrivato in sala un prodotto così potente a livello visivo, dotato di un’atmosfera talmente opprimente da diventare essa stessa la parte centrale dell’opera. Il viaggio all’inferno della poliziotta rovinata da un passato con cui decide di fare i conti una volta per tutte (e a ogni costo) si sviluppa secondo una progressione drammaturgica inarrestabile, dove ogni passo verso la soluzione del mistero diventa un tassello doloroso e insanguinato che accompagna la donna al suo destino. Non c’è redenzione in Destroyer, lo capiamo fin dalle prime scene: Erin è un fantasma che si aggira in una Los Angeles livida come mai alla ricerca di una sola via d’uscita, rappresentata dalla vendetta e non dalla redenzione. La Kusama costruisce intorno la sceneggiatura un impianto visivo e sonoro di potenza espressiva inusitata, capace di inquietare lo spettatore anche soltanto grazie a un taglio di luce o una nota musicale ripetuta ossessivamente. La cineasta lavora sulle angolazioni delle inquadrature e sulle illuminazioni espressioniste con occhio indubbiamente preciso, arrivando a rappresentare l’orrore interiore della sua (anti)eroina e delle figure secondarie quasi senza bisogno di raccontarlo.
Il dolore e i sentimenti oscuri che trasudano da ogni sguardo di Nicole Kidman sono il risultato di una ricerca estetica spintasi a livelli quasi estremi, anche per il genere stesso. Da parte sua l’attrice si sottopone a un tour de force fisico impressionante, lavorando sulla scarnificazione di un corpo piegato, logorato dall’interno. L’anima di Erin filtra in tutta la sua pienezza dallo sguardo glaciale della Kidman, semplicemente perfetta nel costruire il suo personaggio tramite una corazza esterna ormai al limite e invece una forza interiore ancora salda, poiché sorretta dall’odio. Su questa dicotomia si regge la figura femminile al centro di Destroyer, e di conseguenza l’intero lungometraggio. Uno di quei film che non vanno incontro al consenso unanime del pubblico o della critica, ma che al tempo stesso sono quasi impossibili da ignorare.
Un’opera corrosa dall’interno, da una propria anima oscura che ne determina in qualche modo la forma filmica. La Kusama e la Kidman, che a nostro avviso dovrebbe essere considerata a tutti gli effetti co-autrice del film visto l’enorme lavoro psico-fisico prodotto per la costruzione di Erin Bell, hanno realizzato il noir più inquietante e poderoso dai tempi della prima stagione di True Detective.
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