Ready Player One: Steven Spielberg supera un altro livello delle emozioni, la recensione

Ready Player One: Steven Spielberg supera un altro livello delle emozioni, la recensione

Di Adriano Ercolani

Se c’era un autore che non aveva bisogno di rivolgersi alle glorie del passato per tornare ad avere successo, questo è Steven Spielberg. Da quando negli anni ’90 il suo cinema ha cambiato pelle – molti vedono Schindler’s List come punto di svolta, per noi invece è successo in maniera più radicale con Salvate il soldato Ryan – il regista originario di Cincinnati ha realizzato una serie di capolavori e/o successi al botteghino impressionante. Perché allora scegliere un film “rischioso” come Ready Player One? Perché tornare a rivisitare l’iconografia degli anni ’80 quando proprio Spielberg è stato uno dei protagonisti assoluti nel definire la stessa?
Probabilmente per chiudere definitivamente i conti.

Il lungometraggio tratto dal best-seller di Ernest Cline appare una “summa” della poetica spielberghiana sia nell’estetica che soprattutto nei temi trattati. Tutti i riferimenti, le citazioni, il gusto nerd che compongono la cornice della realtà virtuale in cui gran parte del film si svolge rappresentano i tasselli di una confezione poderosa, visivamente capace di precipitare il pubblico in un vortice di immagini e suoni dirompenti. Ma non è questo il cuore di Ready Player One, tutt’altro. Come i suoi più grandi capolavori d’inizio carriera – a cui se ne aggiungono altri sparsi più avanti – Spielberg torna a raccontare una storia di infanzia interrotta, di ragazzi che devono confrontarsi con un mondo che li ha lasciati indietro, costringendoli ad avvicinarsi all’età adulta troppo in fretta. In Incontri ravvicinati del terzo tipo o E.T. gli occhi del bambino osservavano con innocenza avvenimenti inspiegabili, più grandi della loro possibile comprensione. Il Wade Watts di Ready Player One invece si trova di fronte un sistema industriale tangibile, strutturato, insensibile. Sotto questo punto di vista il discorso di Spielberg si è fatto decisamente più adulto, esplicitamente “politico” pur rimanendo del tutto personale. Se questo suo nuovo film a livello spettacolare deve essere accostato agli altri sci-fi, nella verità e nel dramma dei sottotesti si avvicina invece a un’opera più dolorosa come L’impero del sole.

La specificità di Ready Player One è quella di non essere un prodotto ideato per omaggiare il cinema e la cultura pop degli anni ’80 in particolare. Ready Player One È un film degli anni ’80. Ciò che lo rende differente dagli action-fantasy di oggi sta principalmente nella cadenza narrativa. Spielberg ha scelto infatti un’idea di montaggio che mescola momenti di azione e visione scatenata con altri in cui invece la narrazione rallenta per dare spazio ai rapporti tra i personaggi, soprattutto quello tra i giovani protagonisti Wade e Samantha, due “outcast” con cui l’autore si immedesima. Pazienza se Ready Player One subisce dei rallentamenti a livello narrativo, o se la realtà virtuale a livello visivo può sembrare più coinvolgente di quella “reale” del film. A ben vedere i suoi cult di quel decennio, soprattutto E.T. e I predatori dell’arca perduta, funzionavano esattamente alla stessa maniera. Spielberg, e di conseguenza il suo Ready Player One, non seguono le regole imposte dal sistema dello spettacolo hollywoodiano. Non possono essere paragonati a un cinecomic della Marvel o a un qualunque franchise action-catastrofico di moda oggi. Qui ci troviamo di fronte a un autore e a un’opera che definiscono la narrazione cinematografica, non la subiscono.

Anche se non si è particolarmente attaccati agli anni ’80 si può gustare assolutamente Ready Player One, poiché Steven Spielberg conferma di essere un affabulatore che punta prima di tutto sulla storia e su ciò che gli eventi narrati rappresentano per i suoi personaggi. Ready Player One è un film che parte parlando di solitudine ed emarginazione per arrivare a mostrarci cosa significhino invece solidarietà, coraggio, voglia di ribellarsi a un presente oppressivo. Gli eroi di Steven Spielberg, soprattutto quelli più giovani, trovano sempre in loro stessi la forza per superare gli ostacoli e crescere. Come è cresciuto lui film dopo film, sfida dopo sfida.

Con Ready Player One Steven Spielberg ha voluto chiudere i conti con la sua infanzia in maniera probabilmente definitiva. È tornato a contemplarla per un’ultima volta, con occhi meno innocenti e una consapevolezza quasi dolorosa di cosa significhi sentirsi abbandonato, non supportato da quelle istituzioni (famiglia, ordine sociale ecc.) che invece dovrebbero tutelare le età più giovani. La stessa fuga nella realtà virtuale che il suo film mette in scena è in fondo il tentativo di evasione che Spielberg stesso ha esperito facendo cinema. E proprio per questo Ready Player One rimane impresso nella memoria dello spettatore. Perché può vederci fuse insieme tutta la gioia e il dolore del suo autore.

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