Un rito di passaggio intitolato IT…

Un rito di passaggio intitolato IT…

Di Redazione SW

Di Adriano Ercolani

“Home is the place where when you go there, you have to finally face the thing in the dark.”

Avevo tredici anni la prima volta che incontrai Bill, Beverly e gli altri Perdenti.
Avvenne qualche mese dopo la pubblicazione di IT in Italia. E pensare che il libro mi arrivò quasi per sbaglio: a mia madre, un tempo fervida lettrice di romanzi rosa e abbonata all’Euroclub (esiste ancora?), spedirono l’ordinazione sbagliata. Stava per rimandarlo indietro quando le chiesi di lasciarmelo, magari lo avrei sfogliato io.
Ho letto IT altre cinque volte in trent’anni. L’ultima occasione è arrivata la scorsa primavera, quando mi sono reso conto che il desiderio di tornare a fare i conti con quella storia non era casuale, c’era una costante: mi ritrovo a rileggere queste pagine ogni volta che la mia vita sta attraversando una fase di cambiamento. Ripresi nuovamente IT a quindici anni, dopo il trasloco dalla casa in cui ero nato e cresciuto. Poi ancora all’inizio dell’università e alla fine degli studi, che coincise con il primo impiego fisso (non a caso in una libreria…). In seguito lo rilessi ancora quando mi trasferii a New York, infine appunto all’inizio di quest’anno, dopo aver iniziato la convivenza con la mia attuale compagna.
Succederà ancora? Non posso esserne sicuro, ma neppure escluderlo. Tutt’altro.
Quella che è cominciata come una lettura casuale alla fine si è rivelata un vero e proprio dialogo.

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“Swear to me swear to me that if it isn’t dead you’ll all come back.”

Cos’è la paura? Questa è la domanda fondamentale che il libro di Stephen King pone al lettore. A tale interrogativo secondo lo scrittore esistono due risposte: la paura può essere il motore che muove il mondo oppure la catena che lo blocca. È la dualità che l’universo di IT indica: da una parte c’è la cittadina di Derry, sottomessa da decenni e immobile di fronte al male perpetrato dall’entità malefica. Dall’altra invece il Club dei Perdenti, un gruppo di bambini che sceglie di reagire e affrontare Pennywise in tutte le sue orrende trasformazioni. Stasi contro movimento. Negazione contro accettazione. Dicotomie che impongono una scelta che, più o meno consciamente, tutti noi siamo costretti a fare. Ecco perché IT, a conti fatti, parla soprattutto di decisioni e del coraggio necessario per prenderle. E dove c’è coraggio, per forza di cose c’è anche paura.
Nel corso degli anni IT ha cambiato il modo di spaventarmi. Prima era l’ignoto, il non ancora conosciuto rappresentato da Pennywise e le sue metamorfosi. Un terrore che probabilmente interagiva con l’inconscio, sfruttando le mancanze di una personalità ancora in via di formazione. Era quel tipo di paura che allora mi emozionava, e oggi a essere sincero rimpiango anche un po’. Se a spaventarti è il buio dietro una porta socchiusa, qualcosa avverrà: puoi correre in un’altra stanza, avvicinarti e chiuderla, magari addirittura aprirla ed entrare a esplorare quel buio. Ma non riuscirai a rimanere immobile a fissare l’oscurità… Ecco, questo mi manca.
Con il passare degli anni invece il mio terrore si è trasferito a Derry, alla sua accettazione sottomessa e quieta del male insito. Una cittadina che ha nascosto, negato di avere paura mentre ne veniva corrosa dall’interno, fino a non avere più alcuna coscienza di essa. Come già scritto, la paura può bloccarti o costringerti a muoverti. E quindi definire chi sei.

“Eddie discovered one of his childhood’s great truths. Grownups are the real monsters, he thought.”

Ogni volta che ho riaperto le pagine di IT non mi ha mai trasmesso l’idea di essere un libro sulla crescita, perché per quella (purtroppo…) serve molto più di un romanzo, a qualsiasi età. Per me invece è sempre stato un racconto sulla presa di coscienza, il passo più importante nella definizione di una persona. Il libro mi ha aiutato ad affrontare i vari momenti di transizione che stavo vivendo mentre lo leggevo, a vederli sotto una luce diversa: la responsabilità del diventare adulti, quella legata alla possibilità di sostenersi economicamente, l’inquietudine iniziale di spostarsi solo in una terra comunque “straniera”, il gioioso panico dell’unirsi/aprirsi con un’altra persona. IT non mi ha fornito risposte o rassicurazioni riguardo questi momenti, mi ha semplicemente ricordato che stava a me scegliere come viverli. Stranamente non mi sono affezionato tanto a Eddie, Bev, Richie e gli altri personaggi, quanto agli oggetti che possedevano. Soprattutto Silver, la bicicletta di Bill, ha rappresentato per me l’idea che se decidi di affrontare la paura i mezzi per farlo sono accanto a te, sono quelli di sempre. Muoversi è dopo tutto una cosa basilare, legata al quotidiano, addirittura alla routine. Magari è sforzandosi tutti i giorni che si impara a (re)agire…

“You can’t be careful on a skateboard.”

A ventitré anni decisi che il mio braccio destro e soltanto esso avrebbe contenuto cinque tatuaggi. Ne avrei fatto uno ogni cinque anni, per avere il tempo necessario e rifletterci bene. Sapevo di voler iniziare con il Joker, altra figura fondante del mio immaginario, e poi man mano avrei scoperto cosa sarebbe stato così importante per me da dover essere ricordato sulla mia pelle. Per chi sia curioso di saperlo, alla fine sono risultati essere nell’ordine Edward mani di forbice, Fight Club e Dennis Rodman. Vi risparmio i motivi di tali scelte…
A ventitré anni sapevo anche quale sarebbe stato l’ultimo:
Be true, be brave, stand. All the rest is darkness.
Perché anche attraverso IT ho imparato che è la paura a muover il mondo. E, non so ancora dire se per fortuna o purtroppo, continuerà a farlo.
Spero sinceramente che il dialogo non sia ancora terminato…

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Giovedì 19 ottobre IT, il film diretto da Andy Muschietti (regista dell’horror La Madre) e ispirato al famosissimo romanzo scritto dal Re del Brivido Stephen King, farà il suo ingresso nelle sale italiane. È stato confermato che la pellicola sarà VM14.

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