Inhumans ci riporta indietro di vent’anni: la recensione dei primi due episodi

Inhumans ci riporta indietro di vent’anni: la recensione dei primi due episodi

Di Lorenzo Pedrazzi

Forse non tutti lo ricordano, ma le trasposizioni in live-action dei personaggi Marvel hanno vissuto per decenni all’ombra della Distinta Concorrenza: mentre quest’ultima colonizzava l’immaginario collettivo dei “profani” con numerose produzioni cine-televisive (i film e le serie tv di Superman e Batman, le serie tv di Wonder Woman e Flash), gli eroi marvelliani arrancavano sia sul piccolo sia sul grande schermo, con l’unica eccezione di Hulk, il cui show ebbe un notevole successo. Per il resto, la Casa delle Idee ha dovuto aspettare il primo Blade per avere un adattamento in live-action degno di considerazione, anche se ovviamente l’esplosione dei “supereroi con superproblemi” è avvenuta grazie agli X-Men di Bryan Singer e agli Spider-Man di Sam Raimi, veri apripista per il successo della Marvel al cinema. In seguito, quando la Casa delle Idee ha cominciato a produrre direttamente le sue trasposizioni, il Marvel Cinematic Universe si è affermato come un modello cross-mediale con cui tutti – ammiratori e detrattori – sono costretti a confrontarsi, e che ha imposto un livello minimo sotto il quale i suoi prodotti non scendono mai. Almeno, fino all’arrivo di Inhumans.

Già introdotti nella seconda stagione di Agents of S.H.I.E.L.D., gli Inumani erano destinati a comparire in un film dei Marvel Studios, ma il progetto – che pare non fosse tra le priorità di Kevin Feige – è passato in secondo piano rispetto ad altri franchise, ed è stato dirottato in televisione con un lancio peculiare: i primi due episodi, girati con macchine da presa IMAX, sono stati infatti distribuiti eccezionalmente nelle sale di questo circuito, in anteprima rispetto alla première televisiva. Tale hybris non è però giustificata dalla qualità dello show, e la singolare idea di marketing si rivela un clamoroso boomerang per Marvel e ABC, impegnate a salvare il salvabile in una serie che pare già condannata in partenza.

La trama ruota attorno alla Famiglia Reale degli Inumani, frutto di un esperimento degli alieni Kree per la creazione di supersoldati: gli appartenenti a questa “specie” posseggono un gene che, in seguito all’esposizione alle nebbie terrigene, si attiva e fornisce loro un mutazione fisica e/o dei superpoteri. Il sovrano Freccia Nera (Anson Mount) regna sulla città segreta di Attilan, collocata sulla Luna, e possiede una voce devastante che può causare gravi danni anche con un sussurro; è quindi costretto al silenzio, ma comunica con sua moglie Medusa (Serinda Swan) e con i suoi sudditi attraverso un preciso linguaggio gestuale. La Famiglia Reale è composta anche da Maximus (Iwan Rheon), il fratello minore di Freccia Nera che non ha ottenuto alcun potere dalla Terrigenesi; lo stratega e artista marziale Karnak (Ken Leung), cugino del Re; il possente Gorgon (Eme Ikwuakor), anch’egli cugino di Freccia Nera, dotato di zoccoli equini che possono generare onde sismiche; il subacqueo Triton (Mike Moh), altro cugino del Re; Crystal (Isabelle Cornish), sorellina di Medusa che sa controllare gli elementi; e l’adorabile Lockjaw, gigantesco bulldog capace di teletrasportarsi.

Ebbene, Triton è stato mandato in missione sulla Terra per soccorrere i nuovi Inumani dopo la diffusione dei cristalli terrigeni nell’oceano (come abbiamo visto in Agents of S.H.I.E.L.D.), ma fa perdere le sue tracce alle Hawaii dopo che un gruppo di soldati gli spara addosso, e Gorgon viene incaricato di indagare. Su Attilan, intanto, cresce la tensione fra Maximus e Freccia Nera: il fratello minore sostiene infatti che sia necessario sferrare un attacco preventivo agli umani e reclamare il diritto di abitare la Terra, ma il giovane principe viene discriminato dalla stessa Famiglia Reale – in particolare da Gorgon – per la sua mancata mutazione. Maximus è sensibile nei confronti degli Inumani che vivono la sua stessa condizione, relegati a lavori estenuanti nelle miniere lunari, e progetta un colpo di stato per rovesciare Freccia Nera e prendere il potere. Ci riesce grazie alla complicità di Auran (Sonya Balmores), capo della sicurezza di Attilan, ma Lockjaw riesce a teletrasportare alle Hawaii tutti i membri della Famiglia Reale tranne Crystal, prigioniera nelle sue stanze. Freccia Nera, Karnak, Gorgon e Medusa (cui Maximus ha rasato i lunghi capelli rossi per renderla inoffensiva: è infatti capace di controllarli come tentacoli) si ritrovano quindi sparsi ai quattro angoli dell’isola, e devono lottare per riconquistare il regno.

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Questi primi due episodi pagano l’inadeguatezza della squadra creativa, in particolare dello sceneggiatore Scott Buck (lo stesso di Iron Fist) e del regista Roel Reiné, specializzato in sequel direct-to-video come Death Race 2, Il Re Scorpione 3 e L’uomo con i pugni di ferro 2. Ed effettivamente l’impronta è la stessa: l’epoca aurea delle serie tv è ben lontana da Inhumans, il cui DNA rievoca i vecchi film a basso budget – spesso televisivi – come il Capitan America con Matt Salinger e il Nick Fury con David Hasselhoff, per non parlare del leggendario The Fantastic Four prodotto da Roger Corman. C’è un senso di trascuratezza generale che stride con le altre produzioni di Marvel Television (nemmeno i peggiori episodi di Agents of S.H.I.E.L.D. sono arrivati a tanto), e che impregna quasi ogni aspetto della serie, a cominciare dall’estetica. Oltre alla grossolanità dei costumi e delle scenografie, è la scelta stessa dell’IMAX a suscitare perplessità: l’apparato visivo non è in grado di sostenere un formato del genere, che anzi rischia di mettere in luce i limiti tecnici dello show in termini di grafica digitale, come si nota nelle panoramiche di Attilan. Più convincente (sempre in rapporto al budget) la realizzazione di effetti complessi come i capelli di Medusa e lo stesso Lockjaw, ma il loro impiego è sempre sottoposto a una certa rigidità, che coinvolge sia le scene dialogate sia quelle d’azione. I rari scontri fisici sono appesantiti da pessime coreografie che mancano di plasticità e scioltezza (esemplare, in tal senso, la lotta fra Karnak e gli uomini di Maximus), mentre lo sfoggio di superpoteri è limitato a poche occasioni, e la sceneggiatura tende a dimenticarsene proprio quando potrebbero risolvere una situazione di crisi.

La goffaggine di molte sequenze è sicuramente causata dallo scarso livello delle interpretazioni (sia in fatto di prossemica sia in termini di mimica facciale), ma è ovvio che manca una regia sicura, capace di disporre i corpi nello spazio, costruire le inquadrature e connetterle le une alle altre con il montaggio. Anson Mount, ridotto al silenzio dalle peculiarità di Freccia Nera, sfiora il ridicolo involontario quando il Re di Attilan vive disavventure tragicomiche alle Hawaii, mentre Iwan Rheon è l’unico a offrire una performance credibile nel ruolo dell’antagonista. Maximus è paradossalmente il personaggio che induce maggior empatia, poiché la sua rivoluzione – se non nei modi – è giusta quantomeno nelle intenzioni: il suo gesto racchiude infatti tutta la frustrazione del paria sociale, capace di solidarizzare con altri reietti (gli Untermenschen che lavorano in miniera perché non sono stati graziati da un potere) al fine di costruire una società più giusta, meno esclusiva. La Famiglia Reale, in tal senso, si fa portabandiera di un insopportabile elitarismo genetico che ostacola qualunque forma di simpatia nei suoi confronti, e il risvolto più originale di Inhumans è proprio questo: l’ambiguità fra protagonisti e antagonisti mette in difficoltà l’istinto manicheo dello spettatore, abituato a distinzioni ben più nette. D’altra parte, Freccia Nera e gli altri reali non sono propriamente dei supereroi, ma si collocano in una zona grigia che oscilla tra le responsabilità formali e la difesa dei propri interessi, l’orgoglio “etnico” e le alleanze con gli eroi terrestri. Sarà interessante scoprire se la rivolta di Maximus li indurrà a rivedere le loro posizioni, o se resteranno trincerati nei loro privilegi genetico-sociali.

A parte questo, insomma, l’avvio è sconfortante. Di sicuro c’è del potenziale inespresso (Lockjaw in primis), ma la serie ha bisogno di affinare la qualità della regia e la cura dei dialoghi, ridotti a scambi macchiettistici che suscitano un certo imbarazzo. Non c’è spazio nemmeno per un’assoluzione giustificata dall’ingenuità naïf del prodotto: le ambizioni di Inhumans sono palesi – anzi, il lancio in IMAX denota presunzione – ma la debolezza della messa in scena tradisce la superficialità dell’intera operazione.

Voto: ★ 1/2

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