American Horror Story: Cult – Recensione della premiere della nuova stagione

American Horror Story: Cult – Recensione della premiere della nuova stagione

Di Andrea Suatoni

L’intento di Ryan Murphy con American Horror Story era ovviamente quello di spaventare gli spettatori. Mettendo insieme vari elementi classici dell’horror sia tradizionale che d’avanguardia e rielaborandoli più in chiave artistica che moderna, AHS ci ha raccontato attraverso 6 stagioni storie farcite di vampiri, fantasmi, streghe, possessioni demoniache, case infestate, esperimenti genetici, zombie, e moltissimi altri tòpoi del genere, terrorizzando moltissimi fan che si sono avvicinati con la consueta curiosità alla nuova stagione, la cui première è andata in onda sul canale americano FX lo scorso 5 Settembre (in Italia arriverà dal 6 Ottobre su Fox).

Optando stavolta per una rinnovata originalità rispetto ai temi trattati dalla serie (che solo collateralmente si affaccia al terrore per i clown, che complice il remake di IT di Stephen King si sta ri-allargando a macchia d’olio ovunque), American Horror Story tratta quest’anno un argomento che ha terrorizzato milioni (forse miliardi) di persone negli ultimi tempi: l’elezione di Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti.

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ELECTION NIGHT

Si apre così il primo episodio di Cult: la vittoria di Donald Trump spiazza completamente gli americani di ogni fazione politica, che seguendo i sondaggi davano Hillary Clinton come favorita. Fra tutti principalmente Ally Mayfair-Richards (la sempre più immensa Sarah Paulson) è distrutta: teme che la sua famiglia, formata dalla moglie Ivy e dal figlio Oz, possa perdere il riconoscimento giuridico ed i diritti maturati in anni di lotte. Le antiche paure che la attanagliavano da giovane tornano a galla: il terrore del sangue, di alcuni particolari pattern composti di piccoli buchi, soprattutto la paura dei clown.

E proprio i clown iniziano a terrorizzare la famiglia e gli amici di Ally ed Ivy, clown che nessuno vede ad eccezione della stessa Ally e di suo figlio Oz (che ha una malsana passione per i fumetti del clown Twisty, le cui avventure abbiamo visto raccontare nelle scorse stagioni e che qui interviene in un gustoso cameo ma che – almeno per ora – risulta solamente il personaggio di un’opera di fantasia): si tratta di persone reali o solamente della mente malata della donna, di ossessioni che in qualche modo hanno contagiato anche il suo bambino?

A complicare il tutto, Kai Anderson (il sempre più bravo Evan Peters, che in questa settima stagione arriverà ad interpretare ben 7 personaggi diversi), galvanizzato dalla vittoria di Trump, coglie l’occasione per fare sfoggio delle sue idee razziste e xenofobe: la sua strada sembra destinata ad incontrarsi anche con quella di Ally ed Ivy…

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LA QUESTIONE POLITICA

Già durante la campagna elettorale sono stati moltissimi i vip che si sono schierati contro Trump e la sua possibile elezione, contro una campagna politica che ha fatto anch’essa della paura il suo tratto distintivo; Murphy non sembra qui essere da meno. La politica del terrore, del diverso, dello straniero, ha vinto, e questo è quello che questo pilot vuole sottolineare. Paura che genera paura a sua volta, ma all’opposto: perché se è vero che è con la paura che Trump ha vinto (o almeno questa sembra la visione di Murphy), la sua vittoria ha generato un diverso tipo di paura proprio in seno ai diversi, agli stranieri, a tutte quelle categorie il cui terrore ha ispirato il voto.

E non a caso al centro della vicenda troviamo una famiglia appartenente ad una di queste categorie: Ally ed Ivy sono due omosessuali, per di più sposate e con un figlio riconosciuto da entrambe. La critica si fa ancora più aperta e palese: un vero e proprio schiaffo in faccia al governo Trump, che con un ritardo non indifferente attualizza tematiche che in realtà negli ultimi mesi erano state accantonate. Ovviamente la “questione Trump” non potrà quindi reggere in autonomia l’intera struttura del racconto (lo ammettiamo, un tentativo del genere sarebbe estremamente affascinante anche se rischierebbe di snaturare la serie), quindi ci si aspetta che la stagione viri ben presto su altri lidi: un ribaltamento completo dell’impostazione iniziale- il “cult” del titolo non è ancora stato affrontato o tantomeno spiegato – potrebbe essere dietro l’angolo.

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MURPHY STYLE, CONTROLLATO

Il tipico stile di American Horror Story, con le sue regie sempre in movimento, la sua fotografia opaca e altalenante, i suoi colori cupi e le sue inquadrature ricercate è ormai diventata parte integrante del racconto. Ma lì dove nelle scorse stagioni vedevamo (soprattutto nelle prime) quasi una forsennata ricerca del particolare e dell’insolito, troviamo ora il regista Bradley Buecker (fattosi le ossa proprio nelle prime sei stagioni di American Horror Story, dopo un’esperienza formativa da neofita nel differentissimo Glee) assestarsi su un livello molto più pacato, e per certi versi molto più godibile.

Nelle scorse stagioni spesso il lato tecnico della – fin troppo pregevole – fattura degli episodi soverchiava la continuità narrativa, al punto che questa risultava (con un enorme picco durante la terza stagione, Coven) ben più importante della linearità della vicenda, della sua coerenza interna o degli stessi colpi di scena o snodi di trama. Con un comparto tecnico pur sempre elevato ma meno intimidatorio, la serie si appresta forse a dare maggiore spazio ad una scrittura che in ultima istanza è sempre risultata carente (o almeno inadeguata alla portata di quei propri alti tecnicismi): e non ci sembra un caso che nessuno dei registi dei prossimi episodi provenga dal “passato” dello show. L’impostazione appare nuova pur omaggiando le caratteristiche tecniche salienti della serie, in un upgrade che, se Election Night si porrà come pietra angolare dei prossimi episodi, ci fa sperare finalmente per il meglio: le première di American Horror Story hanno spesso rasentato la perfezione, per poi arrivare pian piano a degli epiloghi mai degni dei suoi incipit. American Horror Story: Cult riuscirà ad invertire questa tendenza ? Noi speriamo di si. E con le premesse mostrate in questo pilot, le nostre speranze sembrano ben riposte.

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