Quant’è profonda la tana del Bianconiglio? Per Paul W. S. Anderson, probabilmente, è senza fondo. Quindici anni di carriera lo hanno visto impegnato, sotto tutti i punti di vista, con le avventure della bella e risoluta Alice, intervallandole ad altre produzioni sempre e comunque di stampo action. Delle sei pellicole che compongono la saga cinematografica di Resident Evil ne ha dirette quattro, sceneggiandole e producendole tutte senza esitazioni, impegnandosi anzi nell’equivalente registico-produttivo delle spericolate acrobazie della sua eroina prediletta.
Si è portato a casa, spesso, sonori sberleffi da parte di pubblico e critica, ma resta il fatto che RE abbia incassato, solo al box-office, un miliardo di dollari in totale, nel bene e nel male. Arriva ora, a distanza di più di quattro anni dal precedente, il cosiddetto “capitolo finale” della serie: ne sarà valsa la pena?
Giochiamo a carte scoperte: se conoscete gli altri film della saga sapete già a cosa andate incontro, sotto tutti i punti di vista. Anderson, ancora una volta, rimescola i tasselli del puzzle a suo piacimento e ci presenta la vicenda e i personaggi che vuole lui, per come gli fa comodo: il che vuol dire che le premesse degli episodi precedenti possono essere ribaltate, ignorate, modificate in un attimo, con personaggi scomparsi nel nulla e di cui, probabilmente, non sapremo mai più il destino.
Avevamo lasciato Alice a Washington, insieme a un manipolo di fedelissimi e a un ritrovato (e inaspettatamente amichevole) Albert Wesker, pronta a fronteggiare la battaglia finale contro le mostruose aberrazioni genetiche derivate dal Virus-T. Scopriamo, però, che era tutta una trappola ordita dalla Umbrella, e apparentemente l’unica sopravvissuta sembrerebbe essere proprio il personaggio interpretato (con notevole abnegazione, c’è da dire) da Milla Jovovich. Tramite indiscrezioni trapelate direttamente dalla Regina Rossa (l’intelligenza artificiale alla base dei sistemi informatici della Umbrella) sembra sia rimasta un’unica speranza all’umanità, ed è nascosta all’interno dell’Alveare, proprio il luogo dove tutto è cominciato molti anni prima, e dove finalmente Alice potrà far luce sul proprio passato e le proprie origini. La discesa all’inferno, però, sarà costellata di imprevisti…
Dall’episodio finale della saga (che arriva provvidenzialmente non solo quindici anni dopo il primo film ma anche nel ventennale del primo videogioco e a pochi giorni dall’uscita del nuovissimo e “rivoluzionario” capitolo ludico) ci aspettavamo fondamentalmente due cose: risposte e tanta, tanta azione. E l’aspettativa non è stata tradita, anche se forse ci si aspettava qualcosa di più, in entrambi i casi.
Da un punto di vista dei personaggi, gli unici approfonditi sono Alice, la Regina Rossa e un redivivo Dottor Isaacs, con Wesker stranamente sminuito e ridimensionato, una Claire fondamentalmente inutile e anonima e una pletora di personaggi importanti (quantomeno Chris, Jill, Ada, Leon, Becky) letteralmente spariti nel nulla. A sostituirli manichini piuttosto amorfi, verso cui risulta difficile provare la minima empatia. Le rivelazioni finali risultano essere relativamente convincenti, ma il “viaggio” è così pieno di incongruenze e insensatezze che, alla fine, si ripone in loro ancor meno credibilità rispetto a quelle dei precedenti capitoli.
Oltretutto, mentre in Afterlife e Retribution Anderson si è sforzato di proporre soluzioni visive affascinanti e d’impatto, con effetti 3D e citazioni varie (seppur fuori contesto) dai videogiochi, The Final Chapter sembra un enorme B-Movie anche nelle scene d’azione, meno pirotecniche del solito, seppur con qualche guizzo interessante.
Un film da cassetta non particolarmente ispirato, sotto gli standard della (spesso sottovalutata sotto molti punti di vista) serie, sicuramente godibile nell’ottica di una serata all’insegna dell’azione, anche se, ora, preferiremmo che Anderson prendesse una bocca d’aria fresca e tentasse con qualcosa di nuovo e più frizzante, come fece con I Tre Moschettieri.
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