Sing Street: la recensione della più bella commedia musicale del 2016

Sing Street: la recensione della più bella commedia musicale del 2016

Di Marco Lucio Papaleo

La cultura pop degli anni ’80 sta vivendo, negli ultimi tempi, un periodo di forte e affezionato revival, portando al successo molteplici produzioni che fanno leva sull’effetto nostalgia dell’attuale generazione di trenta-quarantenni. In mezzo al marasma citazionista, però, c’è anche chi riesce a introdurre un vero significato in questo tipo di operazioni, non vivendo semplicemente di ricordi ma sfruttandoli per portare su schermo una storia narrativamente ed emotivamente degna. Tra questi rari esempi spicca, senza alcun dubbio, Sing Street, applaudito e benvoluto prima al Sundance e poi per i festival di tutto il mondo, tra cui la Festa del Cinema di Roma.

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È il 1985, e per le strade di Dublino il quindicenne Conor deve affrontare l’impatto con una nuova scuola e l’imminente separazione dei suoi genitori. Lo stimolo a non farsi abbattere dal bullismo e dalla vita arriva dalla musica e dall’incontro con una bella ragazza, Raphina, di un anno più grande, di cui si infatua e per la quale è disposto a tutto: anche a metter su una band musicale “futurista” al solo scopo di averla come modella nei loro video. Quello che inizia come un gioco un po’ piacione, tuttavia, si trasforma presto in uno stile di vita in cui Conor riconosce per la prima volta l’amore, l’amicizia e la forza per fronteggiare le difficoltà dell’esistenza.

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La pellicola è calata nella grigia realtà dublinese di metà degli anni ’80, con i ragazzi (e non solo) a inseguire sogni londinesi mentre affrontano la dura realtà giornaliera dettata da impegni scolastici e familiari tutt’altro che edificanti. John Carney scrive e dirige il film in modo sempre molto sincero e diretto, non mancando mai di assestare colpi bassi tra uno zuccherino e un altro, proprio come la vita. La vicenda procede su binari agrodolci, o per meglio dire “happy sad”, come preferisce dire Raphina, definendo l’approccio alla vita di chi non riesce mai a essere felice ma vive a pieno la vita, pur con tutte le sue difficoltà e tristezze. Una visione dell’esistenza che confluisce nello stile dei Sing Street, la band improvvisata da Conor con alcuni altri outsider che riuscirà a dargli la sicurezza per proseguire sulla sua strada, grazie anche ai preziosi consigli del fratello maggiore Brendan.

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Notevole il ritmo del film, che pur concedendosi molto spazio alla riflessione e ai sentimenti coinvolge per tutta la sua durata grazie ad un ottimo lavoro di scrittura, a dei giovani interpreti davvero espressivi e talentuosi e a un lavoro sulle musiche di rara cura: oltre al genuino amore per il New wave (e quello che sarebbe di lì a poco divenuto Britpop) con il puntuale inserimento di riferimenti e pezzi dei Duran Duran, Spandau Ballet, The Cure etc., risulta irresistibile la serie di bellissimi pezzi inediti suonati dalla band che dà il titolo alla pellicola.

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Un tuffo negli anni ’80, dunque, ma non tanto nella cultura nerd statunitense come molte altre pellicole per certi versi simili, quanto un viaggio nella realtà irlandese dell’epoca, vissuta con gli occhi di un ragazzino di allora. E se, per certi versi, può ricordare alla lontana (500) giorni insieme e Scott Pilgrim vs the World per l’approccio musicale e il tema romantico di fondo, per lo stile sembra quasi avvicinarsi a un Nuovo Cinema Paradiso con la Musica al posto del Cinema. Da non perdere.

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