Il bando che gli proibiva di realizzare film è decaduto, ma Jafar Panahi continua a fare un cinema libero e clandestino, senza il permesso ufficiale delle autorità iraniane. Del resto, non potrebbe essere altrimenti: Panahi ha sempre rifiutato di compromettere la sua indipendenza creativa, e la clandestinità – che caratterizza le sue opere fin dai tempi di In film nist (2011) – è parte integrante di ogni rivoluzione. Quella del regista iraniano è effettivamente un’arte contestataria, che filtra attraverso le falle del sistema censorio e si riversa nel mondo là fuori; un cinema agile e svelto che non rinuncia agli spazi pubblici e non teme di esporsi, pur con tutti i rischi del caso.
Girato quasi interamente in esterni, Un semplice incidente si dipana a partire da una circostanza accidentale, per l’appunto: un uomo (Ebrahim Azizi) sta viaggiando di sera con moglie e figlia, ma investe un cane e l’auto si rompe. Nel garage che gli presta soccorso, il meccanico Vahid (Vahid Mobasseri) sente il cigolio della protesi che l’uomo porta alla gamba destra, e lo riconosce come l’agente dei servizi segreti che lo torturò anni prima, soprannominato Eghbal (“Gamba di Legno”) proprio a causa della protesi. Decide quindi di rapirlo per vendicarsi, ma comincia a nutrire dei dubbi sull’identità dell’uomo, e coinvolge altri ex prigionieri per avere conferme. Ciò che ne deriva è un’odissea tragicomica, in cui dramma e paradosso si alternano senza soluzione di continuità: la fotografa Shiva (Mariam Afshari), il suo ex fidanzato Hamid (Mohamad Ali Elyasmehr) e i futuri sposi Golrokh (Hadis Pakbaten) e Ali (Majid Panahi) si uniscono alla ricerca, ma nessuno di loro ha mai visto Eghbal in volto, dato che erano sempre bendati.
Panahi segue le disavventure del gruppo con occhio vagamente ironico e surreale, in quel teatro dell’assurdo che è il regime iraniano: l’esplicita citazione dalla scenografia di Aspettando Godot non è affatto casuale. Ci sono le ferite della prigionia, le stesse che il regista ha vissuto sulla sua pelle dopo l’arresto, e c’è un desiderio di vendetta che stride con la fondamentale umanità dei protagonisti. Nessuno di loro è un aguzzino, nessuno di loro parla la lingua della violenza: è il trauma a renderli disperati e collerici. Così, le loro imprese finiscono per rispecchiare il cinema stesso di Panahi, costretto a muoversi in segreto tra la folla, celando accuratamente la verità delle sue intenzioni. I nostri eroi si nascondono nel furgone di Vahid, ingannano gli sguardi indiscreti, meditano punizioni brutali, ma la suddetta umanità viene sempre a galla. Un semplice incidente mostra la differenza tra empatia e banalità del male, tra restare fedeli ai propri valori e tradire il prossimo “per guadagnarsi da vivere”.
È significativo che stavolta Panahi abbia deciso di fare un passo indietro, rispetto a gran parte dei film realizzati durante il bando (compreso l’ultimo, Gli orsi non esistono, presentato a Venezia nel 2022). L’autore infatti non ha un ruolo nella storia, ma si limita a raccontarla: come se, ritrovata la libertà, avesse ripreso anche le vesti del demiurgo invisibile. Restando dietro la macchina da presa, costruisce un’epopea sempre più esasperata e formalmente impeccabile, che culmina in un terzo atto di rara potenza, sia nella resa dei conti finale sia nell’agghiacciante epilogo. D’altra parte, anche il connazionale Asghar Farhadi sa come chiudere un film: il cinema iraniano ci sta regalando alcuni tra i finali più memorabili della contemporaneità. Sarà per l’amarezza di vivere sotto un regime che non lascia scampo, o per la consapevolezza che le vite dei personaggi continuano anche oltre i limiti del quadro. Senza dubbio l’epilogo di Un semplice incidente è in grado di perseguitare il pubblico anche dopo l’accensione delle luci, uno spettro impossibile da esorcizzare. In fondo, il grande cinema è proprio quello che ci resta addosso come una seconda pelle.
Sequel per l'horror con Megan Fox del 2009.
Un'occhiata al film presentato in anteprima a Lucca Comics & Games.
"Non so, dipende", dice la diretta interessata, rispondendo ai rumor.