L’esistenza stessa di un remake di The Toxic Avenger è un paradosso tutto hollywoodiano, e dimostra come il “sistema” sia abile a riassorbire qualunque tipo di protesta. Del resto, i film della Troma sono nati in aperta reazione a Hollywood, come gioiosa celebrazione del cattivo gusto e dell’exploitation: un cinema artigianale, indipendente fino all’osso, che rivolge sberleffi ai grandi studios e al loro immaginario di riferimento. Lo stesso Tromadance Festival nasce in opposizione al Sundance, ormai divenuto una costosissima succursale delle major, e offre proiezioni gratuite di film realmente indipendenti. La Troma, insomma, ha sempre viaggiato in direzione ostinata e contraria rispetto al mainstream.
C’è da dire che, rispetto ad altre produzioni di Lloyd Kaufman e Michael Herz, il Vendicatore Tossico ha sempre avuto una maggiore popolarità, diventando addirittura il protagonista di una serie animata per ragazzi, Toxic Crusaders, nel 1991: le sue potenzialità cross-mediali hanno quindi ingolosito Legendary Pictures, che ne ha acquisito i diritti per rilanciarlo a livelli ancora più commerciali. In effetti, il regista e sceneggiatore Macon Blair (I Don’t Feel at Home in This World Anymore) prende l’eroe di Kaufman e lo inserisce in un contesto più strutturato, da parodia supereroistica vintage. Al posto di Tromaville c’è St. Roma, città funestata dal crimine e dalle esalazioni tossiche, prodotte dall’azienda farmaceutica BTH: è qui che lavora il mite inserviente Winston Gooze (Peter Dinklage), rimasto solo con il figlio adottivo Wade (Jacob Tremblay) dopo la morte della moglie. Come quest’ultima, anche lui è malato di cancro, ma l’assicurazione sanitaria non copre il trattamento che potrebbe guarirlo, e il proprietario della BTH – l’eccentrico Bob Harbinger (Kevin Bacon) – si rifiuta di aiutarlo. Nel tentativo di rubare il denaro necessario, Winston s’imbatte in J.J. Doherty (Taylour Paige), che sta cercando di denunciare i crimini dell’azienda, inseguita da una band di metallari assassini. Il risultato è facile da immaginare: Winston, gettato in una vasca di rifiuti tossici, si trasforma in un mutante dotato di forza sovrumana. Armato di spazzolone radioattivo, lotterà per raddrizzare i torti e sconfiggere Harbinger.
La vendetta è ovviamente servita al sangue, poiché l’eroe semina carneficine ad alto tasso di gore, ricche di parossismi divertiti e – in parte – abbastanza godibili. Macon Blair sa bene che non può esistere The Toxic Avenger senza effettacci splatter, rigorosamente materici, come il trucco sul volto e sul corpo di Luisa Guerreiro: c’è infatti lei sotto il make-up di Toxie, mentre Peter Dinklage fornisce la voce. Sono entrambi molto bravi, e Dinklage dà il meglio di sé quando mostra la vulnerabilità di Winston, i suoi sforzi per stare vicino al figlio in un mondo ruvido e ostile (anche perché il remake, in linea con le tendenze di Hollywood e con i gusti della Generazione Z, elimina la storia d’amore con la ragazza non vedente e punta solo su rapporti familiari o platonici). In realtà, l’aspetto migliore del remake è proprio questo: il contrasto fra la dolcezza del protagonista e la violenza di St. Roma, figlia più dei cinecomic degli anni Novanta – dove le città erano spesso fantasiose e stilizzate – che dei film supereroistici contemporanei. L’atmosfera ha un suo fascino, anche grazie alla fotografia lisergica di Dana Gonzales, che valorizza le fonti luminose e i colori acidi.
Il problema è nella discrepanza tra la qualità della confezione e quella del contenuto. Non c’è dubbio che Macon Blair conosca a menadito i film della Troma, ma non ha i tempi comici adeguati per supportare le sue ambizioni: la sceneggiatura inanella gag e scenette che forse suonavano più spassose sulla carta, ma tradotte sullo schermo diventano laconiche, poco centrate, come gli sforzi di un comico che tenta in ogni modo di farci ridere (fallendo). Non è colpa degli attori, di ottimo livello anche fra gli antagonisti; oltre a Kevin Bacon, da notare il trasformista Elijah Wood nel ruolo di Fritz Harbinger, fratello di Bob e manager dei metallari. Se mai, il limite sta nella natura stessa dell’operazione. The Toxic Avenger nasceva in un clima anarchico, di ilare contestazione, mentre qui viene assimilato da un grande studio, ovvero quel dominio commerciale di cui la Troma rappresentava un’alternativa.
Il risultato è una parodia tardiva dei cinecomic, peraltro anticipata di ben tredici anni da Super di James Gunn (anche lui di scuola Troma), fondato su basi simili e molto più riuscito. Le intenzioni di Blair sono sincere, ma il Vendicatore Tossico rifatto da Hollywood è come quei meme che, condivisi e rielaborati dai canali ufficiali delle corporation, perdono tutta la loro genuinità: svuotati di senso, non più generati dal basso, diventano solo l’ennesimo strumento promozionale.
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