Ci sarebbero molte angolazioni da cui inquadrare la vicenda di Paolo Piccoli e di suo figlio Mattia, che nel 2021 – all’età di 12 anni – è stato nominato Alfiere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella per “l’amore e la cura con cui segue quotidianamente la malattia del padre”. Alessandro Aronadio sceglie però quella meno scontata, in linea con una filmografia che, pur muovendosi nei generi e negli apparati produttivi del cinema italiano “medio”, ha sempre cercato strade alternative, tangenti al fantastico: basti pensare al suo primo lungometraggio, Due vite per caso, che rileggeva il tema del doppio nell’era post G8 di Genova. Per te è il suo primo film basato su una storia vera, ma il regista romano non rinuncia a filtrarla attraverso uno sguardo vagamente surreale, spesso giocoso, lontanissimo da quello che ci si aspetterebbe in simili circostanze.
Non è però solo una questione di toni. Aronadio (anche sceneggiatore con Ivano Fachin e Renato Sannio) non sceglie infatti di raccontare la malattia stessa, bensì il periodo precedente al suo aggravarsi, ovvero la fase di adattamento: quando Paolo deve riorganizzare la sua vita e condividere la notizia con il figlio. L’uomo, interpretato da Edoardo Leo, scopre di essere affetto da una forma precoce di Alzheimer, che nel giro di alcuni mesi cancellerà gran parte della sua memoria, a partire dagli eventi recenti. È proprio la sua voce a introdurci nel film, ma lo fa con inaspettato umorismo: Paolo ci racconta i dettagli della sua vita che ha dimenticato, come l’ultimo anniversario con la moglie Michela (Teresa Saponangelo) e il volto dell’infermiera che le portò Mattia neonato, ma anche quelli che ricorda ancora, solo in apparenza marginali. Piccoli inserti animati – gli scarabocchi sul viso dell’infermiera, lo stop-motion dell’esercizio mnemonico dal dottore – contaminano l’immagine, facendosi espressione della fantasia di Paolo. In effetti, mentre il protagonista affronta la consapevolezza della malattia con la moglie e il figlio (Javier Francesco Leoni), l’immaginazione dei personaggi si riversa nella loro esperienza della realtà: da questo punto di vista, Per te è un film-mosaico, un collage di suggestioni che partono da Buster Keaton e arrivano fino a Rocky.
Non accade spesso che il cinema italiano riconosca l’importanza dell’immaginario collettivo, ma per Aronadio – di formazione internazionale – è un aspetto cruciale dell’esistenza, fa parte di noi. Si vede benissimo quando Paolo e Michela imitano la mimica esasperata del cinema muto durante una cena al ristorante, o quando replicano le scene di Cantando sotto la pioggia sui marciapiedi di Roma: sono riferimenti condivisi, che formano buona parte della loro identità culturale (e della nostra). Per te mantiene questo piglio ironico fino alla fine, e non è sempre facile calarsi nell’umore scherzoso dei personaggi, che talvolta suona un po’ stucchevole; tuttavia, il maggior pregio del film è proprio quello di evitare il melodramma, schivando qualunque pietismo ricattatorio. Ci sono momenti toccanti, ma conservano una buona dose di naturalezza, anche grazie alle performance di Leo, Saponangelo e Giorgio Montanini (che interpreta Nicola, fratello di Paolo).
È l’approccio giusto per ricordarci un concetto fondamentale: Paolo non è la sua malattia, e non merita di essere identificato con essa. È un uomo con la sua vita, i suoi affetti e il suo mondo interiore; contiene moltitudini, per citare Walt Whitman e il recentissimo The Life of Chuck, che già affermava – seppure in modo diverso – la medesima idea. Per te celebra l’importanza di solidarizzare, di esserci per l’altro, e lo fa con un andamento circolare che pizzica corde delicate. Dal padre al figlio, e dal figlio al padre: un passaggio generazionale che è l’essenza stessa dell’amore.
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