Non sono mancati momenti di commozione alla Festa del Cinema quando Nanni Moretti ha consegnato il Premio Master of Film ad Edgar Reitz, classe 1932, uno dei giganti del cinema tedesco del dopoguerra. Leibniz – Cronaca di un dipinto perduto è il suo canto del cigno, un meraviglioso affresco sull’età dell’Illuminismo, su una ricerca costante della verità.
Prussia, 1704. C’è inquietudine nel cuore della Elettrice Sofia Carlotta (Antonia Bill), che scrive alla madre, la Regina Sofia di Hannover (Barbara Sukowa), confessando la noia e l’inquietudine che la pervade. Ha deciso commissionare un dipinto al grande filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz (Edgar Selge), considerato la mente più geniale delle terre germaniche, nonché simbolo di quell’illuminismo che persino lì, nel Regno di Federico I, sta cominciando a cambiare molto nella visione dell’uomo, della società, del suo rapporto col divino e la moralità. Ma ecco il colpo di scena, arriva anche la pittrice fiamminga Aaltje Van De Meer (Aenne Schwarz), che viaggia travestita da uomo, e con cui il vecchio filosofo darà il via ad un acuto e intrigante scambio di opinioni ed idee sulla scienza, arte, sentimenti e divino.
Leibniz – Cronaca di un dipinto perduto parte da un episodio vero, reale, per guidarci dentro una rievocazione storica nel senso più puro, assoluto e senza alcuna mediazione che si ricordi. Edgar Reitz crea assieme a Gert Heidenreich un sontuoso e ammaliante viaggio nel tempo, in cui le magnifiche maestranze, la location suggestiva del Palazzo Schleissheim, unita alla riproduzione di ciò che era un tempo il castello di Herrenhausen, fanno da supporto ad un iter diegetico molto teatrale, molto aulico, ma capace anche di farci comprendere i tormenti e i dubbi dell’umanità di allora. Ma più di tutto, Leibniz – Cronaca di un dipinto perduto è un grande omaggio ad un’epoca, contraddittoria, piena di squilibri, ma che fu alla base del pensiero moderno, di quella capacità di guardare all’uomo, alla sua sete di sapere, ad indagare nei misteri della natura e della tecnica, per cercare le risposte. Spirito o razionalità? Divino o umano? Leibniz e la Van De Meer ne parlano, mentre ecco che spuntano le prime camere oscure, la leggendaria macchina calcolatrice del geniale inventore tedesco, le dispute attorno all’idea di un aldilà, di un virtù, con Leibniz che si pone in assoluto contrasto a John Locke, con la ricerca di una perfezione pittorica che sia anche umana.
Leibniz – Cronaca di un dipinto perduto con la fotografia di Matthias Grunsky mette subito le mani avanti: qui non siamo ad Hollywood, qui non siamo dalle parti delle moderne riletture moderne del passato. Edgar Reitz ci porta dentro quel tempo, quello spazio, quel linguaggio usato da persone elevate, oltre la norma, che cercano di capire se e quanto sono sulla strada giusta. Ma è tutto il film a parlarci dell’arte, del pensiero di allora, con una luce che imita la naturalezza del quotidiano, pure senza far venir meno la necessità di un altrove. Si citano la Caverna di Platone, la pittura Chiaroscuro, le sacre scritture, la loro interpretazione, ma soprattutto il legame tra uomo, pensiero ed arte. Fino dove abbiamo interpretazione? Dove invece diventa riproduzione del pensiero e ancor di più del suo legame con la verità? Ma quale verità può arrivare da un dipinto? A queste domande Leibniz – Cronaca di un dipinto perduto non dà mai una vera risposta, non è questo l’obbiettivo, l’obbiettivo è non fermarsi, è non pensare di avere la verità in tasca. Un film sicuramente difficile per un pubblico mainstream, non così accessibile come vorrebbe sembrare o come si potrebbe pensare, di fronte ad un tono in realtà leggero, spesso ironico, ma dietro cui si intuisce il dramma di due generazioni, due pensieri, due idee che non sono così conciliabili o forse pensano di aver fallito. Regia magnifica, direzione degli attori sublime, che tocca vette paragonabili ai grandi titoli del genere nel tempo che fu, quando oggi purtroppo ormai è stato ridotto a fossile vivente dalla moda modernista. Luce ed ombra, oggetti e sguardo, pensiero e fantasia, Edgar
Reitz con Leibniz – Cronaca di un dipinto perduto ci porta dentro un mondo, da cui è nato il nostro. Ma soprattutto, ci ricorda perché è un regista unico nel panorama europeo, perché il cinema tedesco è stato inimitabile anche grazie a lui, con gli americani che una creatura cinematografica così dai tempi di Barry Lyndon non hanno più saputo nemmeno immaginarsela.