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Il Dracula di Luc Besson è una tragedia di amore e sangue

Il regista francese rilegge il romanzo di Bram Stoker in un film imperfetto ma affascinante, diviso tra lirismo e cattivo gusto.

Pubblicato il 24 ottobre 2025 di Lorenzo Pedrazzi

Il Dracula di Luc Besson emerge dalle nebbie come il Demeter, la nave che trasportava il vampiro nel romanzo di Bram Stoker: è il relitto di un tempo passato e di un luogo lontano, una nave fantasma che naviga a stento, imbarca acqua, eppure resta a galla. C’è evidentemente qualcosa di irresistibile nel libro di Stoker – come nel folclore vampiresco – che spinge tanti cineasti a offrirne una propria rilettura, calibrata sulla sensibilità di ognuno. Contando anche il Nosferatu di Robert Eggers e il Dracula di Radu Jude, sono già tre film nel giro di pochi mesi, senza dimenticare gli abbastanza recenti (e meno ambiziosi) The Last Voyage of the Demeter e Renfield.

Dal canto suo, è palese che Besson abbia in mente il capolavoro di Coppola, e lo si intuisce fin dal prologo: nella Transilvania del XV Secolo, il principe Vlad Dracula (Caleb Landry Jones) combatte gli invasori dell’Impero Ottomano, ma la morte dell’amata Elisabeta (Zoë Bleu) lo spinge a rinnegare Dio. Condannato a vivere in eterno, Dracula è perseguitato da un’inesauribile sete di sangue, e trascorre i secoli alla ricerca della reincarnazione di Elisabeta. La ritrova nella Parigi dell’Ottocento: si chiama Mina Murray, e sta per sposare l’agente immobiliare Jonathan Harker (Ewens Abid), che si reca al castello di Dracula per alcuni affari. Riconosciuta Elisabeta in un ritratto di Mina, il vampiro imprigiona Jonathan e si mette in viaggio, non prima di aver ritrovato le forze con un succulento banchetto a base di monache.

Se tale dettaglio vi giunge nuovo, il motivo è che Besson rielabora la storia originale a modo proprio, rimescolando personaggi, innestando episodi e ampliando il ruolo di Dracula. C’è tutto un flashback in cui quest’ultimo ricorda le sue peregrinazioni tra Europa e Medio Oriente, in cerca di un’essenza che gli permetta di soggiogare la volontà del prossimo, con scene che sfiorano il musical; mentre la suddetta incursione nel convento è una parentesi folle, divertita, quasi da teatro-danza. Si vede che c’è dietro uno sguardo europeo, più demistificante e votato agli impulsi della carne; magari anche un po’ kitsch? Forse, ma non si può negare che Besson trovi qualche spiraglio di originalità in una vicenda ormai inflazionata. Il limite, se mai, è quando cerca di misurarsi con Bram Stoker’s Dracula sul piano dello stile: certi dettagli, come l’armatura del principe all’inizio, paiono maggiormente posticci. Del resto, è un film che unisce momenti lirici a trovate dal gusto discutibile, come i gargoyle di pietra in CGI che popolano il castello. Servitori muti del vampiro, questi “minion” gotici sono troppo cartooneschi per una storia del genere, e compiacciono soprattutto un pubblico abituato ai colossal hollywoodiani. Alla fine, però, Besson piazza una rivelazione tragica che stravolge l’intera prospettiva su di loro: il colpo di coda dell’autore.

In effetti, Dracula: L’amore perduto è frutto di spinte contrastanti, come spesso accade nei blockbuster del regista francese; da un lato ci sono le ambizioni artistiche, e dall’altro le esigenze dello spettacolo, evidenti nel finale ricco di azione (che – di nuovo – stona un po’ rispetto al resto). L’esito è magmatico, imperfetto, ma non privo di fascino. Besson ci mette anche un filo d’ironia, pur senza raggiungere – giustamente – i vertici farseschi dei suoi film più scanzonati. Si avverte però il desiderio di contaminare i toni, e impadronirsi di una storia che ogni regista ama fare propria. Invece del Professor Van Helsing, qui abbiamo un prete sornione interpretato da Christoph Waltz, mentre i personaggi di Lucy e Renfield si fondono in Maria, nobildonna italiana trasformata in vampiro: un ruolo in cui Matilda De Angelis ha l’aria di divertirsi un mondo.

Ovviamente le luci della ribalta sono tutte per Caleb Landry Jones, divenuto il pupillo di Besson dopo Dogman. È stato lui a valorizzarne in pieno il talento, dopo anni di ruoli marginali o stereotipati nel cinema americano: Jones lo ripaga con un Dracula enigmatico e dolente, sarcastico e raffinatissimo, capace di muoversi al confine tra dimensione sensibile e sovrasensibile. Antieroe di un mondo in rovina, ultimo paladino dei tempi antichi, è condannato al limbo che separa umano e post-umano. La sua capacità di incarnare entrambe le nature è il cuore stesso del film.

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