Dopo il Leone d’Oro e l’Oscar per Povere Creature! e a pochi mesi dal triplo racconto disturbante di Kinds of Kindness, Yorgos Lanthimos non si ferma.
Il 23 ottobre arriva Bugonia, un film che riporta il regista alle sue radici più feroci: uno spazio chiuso, pochi personaggi e un dubbio che sembra scritto per il nostro tempo: chi sono davvero gli alieni, loro o noi?
E al centro, ancora una volta, Emma Stone, affiancata da Jesse Plemons, coppia esplosiva dentro un film che il regista definisce “una riflessione molto interessante sulla nostra società e sui conflitti del mondo contemporaneo.”
Due giovani ossessionati dalle teorie del complotto rapiscono l’influente CEO di una grande azienda, convinti che sia un’aliena decisa a distruggere il pianeta Terra.
Così inizia Bugonia, thriller psicologico e commedia nera insieme, ispirato al cult coreano Save the Green Planet! (2003).
Ma Lanthimos non è interessato al remake in senso stretto: usa quella premessa per costruire un esperimento umano.
Il film si svolge quasi interamente in un seminterrato, tra ossessioni, rituali e teorie deliranti: un microcosmo dove la paranoia diventa linguaggio e il confine tra realtà e follia si assottiglia scena dopo scena.
Dietro l’assurdo, il regista parla del nostro tempo.
“Nel mondo di oggi, le persone vivono in bolle che sono state esaltate dalla tecnologia. Le idee sulle persone accrescono a seconda della bolla in cui si vive, andando a creare un grande divario tra esse. Volevo mettere in discussione le convinzioni dello spettatore su ciò di cui abbiamo molta certezza… È una riflessione molto interessante sulla nostra società e sui conflitti del mondo contemporaneo.”
In Bugonia, la distorsione non è solo visiva ma morale: chi crede di avere ragione, chi decide cos’è reale, chi impone la propria versione del mondo. Il film diventa una lente deformante sul bisogno umano di certezze e sul caos che nasce quando quelle certezze collassano.

Emma Stone interpreta Michelle, la potente CEO accusata di essere un’aliena. È il suo quinto film con Lanthimos, ma uno dei più radicali.
Attrice due volte premio Oscar, capace di passare da musical a dramma con la stessa naturalezza, Emma Stone è diventata una delle interpreti più riconoscibili del cinema americano contemporaneo.
Dalla regina manipolatrice di La favorita alla donna libera di Povere creature!, fino ai tre volti di Kinds of Kindness, è con Lanthimos che ha trovato la sua forma più estrema e autoriale: insieme hanno costruito un linguaggio fatto di eccesso, intimità e coraggio fisico.
“Ha una sorta di qualità microcosmica,” spiega l’attrice. “Siamo in un seminterrato, e per la maggior parte del tempo le persone parlano solo tra loro, esprimendo prospettive che sembrano forse errate o distorte. Eppure rivelano diverse versioni dell’umanità.”
Per entrare nei panni di Michelle, Emma Stone è andata fino in fondo: si è rasata la testa, trasformando la preparazione in un vero rito di fiducia col regista.
“Quando ho saputo che avrei dovuto farlo, ho detto a Yorgos: ‘Dovrai rasarti la testa anche tu, per solidarietà’. E così abbiamo fatto. Lui si è rasato la testa per primo, e poi ha rasato anche la mia.”
La sua performance alterna lucidità e vulnerabilità, potere e paura. Michelle cambia a ogni scena, ribaltando continuamente la percezione del pubblico. Non è solo una vittima o un carnefice: è un corpo che si difende, un enigma che riflette le nostre stesse contraddizioni.

Jesse Plemons interpreta Teddy, il leader del rapimento.
Attore texano classe 1988, Plemons possiede quel realismo quieto che rende ogni suo personaggio credibile, anche nei momenti più estremi. Lo abbiamo visto in Breaking Bad, Fargo, Il potere del cane, Killers of the Flower Moon e, di recente, in Kinds of Kindness, dove ha lavorato per la prima volta con Lanthimos.
Qui torna in un ruolo completamente diverso, portando in scena la calma apparente e l’ambiguità che da sempre lo contraddistinguono.
È un uomo intrappolato nelle proprie ossessioni, “perduto nel labirinto digitale”, come se la rete stessa avesse sostituito la realtà. Un personaggio in bilico tra vittima e carnefice, che crede di agire per un bene superiore.
“Il tono è selvaggio e vario, divertente e tragico, e il modo in cui si affrontano questi grandi temi è fuori dagli schemi e inaspettato,” racconta Plemons, sottolineando la natura ambivalente del film.
E aggiunge: “Molte persone nel mondo di oggi si sentono completamente trascurate e dimenticate. Sono semplicemente sopraffatte dai poteri forti.”
Teddy è una di queste persone: un uomo che, in un mondo dominato da forze più grandi di lui, prova a ritrovare controllo attraverso il delirio.
“È stato lasciato solo, nel tentativo di superare tutti questi sentimenti di assoluta impotenza e disperazione… Questa convinzione gli ha dato un senso di potere e uno scopo.”
Lanthimos, dal canto suo, guarda al personaggio con una curiosa compassione.
“Rimane un personaggio piuttosto simpatico, anche se fa cose estreme e discutibili. Riesce comunque a mantenere la sua umanità.”

Per Lanthimos, l’esperienza di Bugonia non può esistere altrove se non in sala.
“La maggior parte dei film dovrebbe esser vista al cinema, con altre persone. È un’esperienza collettiva… È semplicemente un’esperienza completa e drammatica, sia nella sua ilarità che nel suo orrore, che può essere vissuta appieno solo al cinema.”
E in effetti Bugonia nasce per il grande schermo: un film che alterna risate nervose e brividi viscerali, costruito per essere condiviso, per farci ridere, tremare e dubitare insieme.
Con Bugonia, Yorgos Lanthimos continua la sua esplorazione del paradosso umano: la linea sottile tra paura e fede, verità e delirio.
In questo film convivono paranoia e pietà, ironia e disperazione. È un film che parla di noi, senza mai dirlo apertamente.
Come dice Lanthimos, “volevo mettere in discussione le convinzioni dello spettatore su ciò di cui abbiamo molta certezza.”
E lo fa nel modo più spiazzante: con una storia di alieni che forse non sono alieni, ma semplicemente umani.
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