Doom ad oggi rimane uno dei film più controversi ed odiati che siano mai stati tratti da un videogame. Uscì vent’anni fa, aveva The Rock e Karl Urban nel cast, 70 milioni di budget e diventò uno dei flop più terribili di quegli anni. La verità? Non era un capolavoro, ma era tutt’altro che brutto, fatto male o privo di elementi di pregio, un cult mancato che grida vendetta.
Doom doveva esistere già negli anni ’90, quando il secondo capitolo della saga videoludica sbancò e diventò un mito generazionale. Ma tra problemi produttivi, iter artistico e le polemiche nate a seguito del Massacro di Columbine (entrambi gli autori erano grandi fan del gioco), non se ne fece nulla, fino a quando la Warner non cercò di cavalcare l’effetto Resident Evil, uscito tre anni prima. Lo script subirà molte modifiche, fino a quando David Callaham e Wesley Strick non forniranno ad Andrzej Bartkowiak (subentrato a Enda McCallion), un copione ad alto tasso cinefilo oltre che videoludico. Doom rappresenta anche il primo, vero, tentativo da parte di The Rock di confrontarsi con un villain di maggior caratura e percorso, dopo il cameo ne La Mummia – Il Ritorno. Il risultato finale sarà un film che ha dentro un bel po’ di deja vu, questo è chiaro.
C’è molto di Aliens – Scontro finale, de I Sette Samurai e Quella Sporca Dozzina, più una spruzzatina di ciò che era stato La Cosa, senza scordarsi naturalmente del vasto mondo degli zombie movies. Tutti assieme, allegramente, per parlarci di quella stazione di ricerca su Marte, dove qualcosa va storto, di una squadra speciale di Marines guidata da “Sarge” Mahonin (The Rock) e dal suo vice Reaper Grimm (Karl Urban), viene inviata armata fino ai denti per indagare dalla Terra. Doom dalla sua avrà anche attori del calibro di Rosamund Pike, Ben Daniels, Dexter Fletcher, Doug Jones e Razaaq Adoti, per guidarci dentro questo carosello a metà tra horror, action, scifi e picchiaduro. Estetica? Buona, con un’aria vintage abbastanza palese sia per il budget non altissimo (ma manco bassissimo), sia perché, in fondo, questo è un film che riporta al centro ciò che era il genere scifi negli anni ’80 e anni ’90. Inutile dire poi che della trama originale del videogioco, prenda qualche spunto, qualche idea, per poi però andare in tutt’altra direzione.
Eppure, nonostante questo, Doom a rivederlo rimane un film tutt’altro che stupido o floscio, anzi con più di una sequenza memorabile.
Chiunque conosca anche solo superficialmente il videogioco originale, sa che ha avuto un impatto unico nella storia videoludica. Di fatto, “Doom” fu il primo sparatutto in prima persona, stabilì uno standard che poi è stato imitato nei decenni a venire, fino all’ultimo “Battlefield” per intenderci. Doom si appoggia ad effetti visivi molto particolari, sia reali che digitali, una mistura curiosa ma seducente. Mostri e creature sono interessanti, ma soprattutto lo è la regia, che ci regala una sequenza in prima persona fantastica. Lì dentro, tra una mitragliata e l’altra, Doom abbraccia un’essenza dinamica ricca di black humor, dinamismo, creatività, tra le migliori del genere di quegli anni. Il tutto con una colonna sonora metal rock da paura, e un’atmosfera talmente imprevedibile, da aver poi in realtà confuso parecchio critica e pubblico. Black humor certo, ma c’è anche una sensazione di claustrofobia e morte opprimenti, c’è l’incidere di una dimensione demoniaca e mortuaria, quel team di super-guerrieri che viene fatto a pezzi, a poco a poco.
Sangue, arti, budella, seghe elettriche, bombe e poi naturalmente le citazioni al videogioco, tra i vari mutati genetici, la Big Fucking Gun, le doppie mitragliette, i fucili a pompa. The Rock (udite udite) è convincente nel modo in cui fa diventare Sarge non più il salvatore, ma una specie di SS spaziale, che solo l’ex amico Reaper potrà fermare, in un combattimento finale da urlo, con omaggi a Mortal Kombat e tutto quel filone videoludico che all’epoca era ancora popolarissimo.
Doom verrà crocifisso, letteralmente, e certo ha difetti, soprattutto nella parte centrale, ma la realtà è che rappresentò un tentativo originale e non superficiale di onorare il materiale di partenza e assieme stare sulle proprie gambe. Il reboot del 2019 non è che sia stato meglio, anzi. A vent’anni di distanza, Doom merita di essere rivalutato, e pure di brutto. Rimane migliore di tanti altri film o serie tv dello stesso tipo, un prodotto con un’anima da B movie anarchica e fracassona, un’estetica da urlo e uno spirito nerd senza ripensamenti.