La retcon genera mostri, ormai lo sappiamo bene. La stessa esistenza di Black Phone 2 è un gioco di prestigio di Hollywood, ma l’aggravante è che l’iniziativa sia partita dallo stesso Joe Hill, autore del racconto su cui era basato il primo capitolo: è stato lui a proporre di continuare la storia, e sia il regista Scott Derrickson sia il co-sceneggiatore C. Robert Cargill sono stati ben lieti di salire a bordo, dopo l’ottima riuscita del prequel. Eppure, tra le migliori qualità di Black Phone c’era proprio il finale, conquistato al culmine di un’efficace costruzione narrativa ed emotiva; realizzare un sequel, insomma, significa forzare i limiti di una storia che era stata concepita come autonoma, e il cui epilogo poteva tranquillamente considerarsi definitivo.
Abbracciando le regole della serialità, Derrickson e Cargill fanno la scelta più coerente con i gusti odierni: ripartono dal primo film e ne espandono la lore, per usare un termine molto in voga. Il prologo ci porta infatti nel 1957, presso un campo cristiano sulle rive di un lago ghiacciato, Alpine Lake, in Colorado. La giovane istruttrice Hope Adler (Anna Lore) entra in una cabina telefonica, compone un numero che ha visto in sogno e parla con un misterioso interlocutore: scopriremo l’identità di quest’ultimo abbastanza presto nello svolgimento del film, ma è chiaro fin dal principio che la trama collegherà diversi piani temporali e attribuirà un passato inedito al Rapace (Ethan Hawke), il serial killer di bambini che Finn (Mason Thames) ha ucciso dopo vari giorni di prigionia.
Nel frattempo sono trascorsi quattro anni: è il 1982, Finn non è più vittima dei bulli, ma usa la violenza per intimidire chiunque gli dia fastidio. Sua sorella Gwen (Madeleine McGraw) frequenta lo stesso liceo, e viene corteggiata da Ernesto (Miguel Mora), fratello minore di Robin, una delle vittime del killer. Mentre Finn si macera nel suo trauma, Gwen è tormentata da strani sogni che spingono lei, il fratello ed Ernesto proprio ad Alpine Lake. Purtroppo, una violenta tempesta di neve isola il campo, che viene annullato: sul posto rimangono soltanto loro tre, insieme al supervisore Armando (Demián Bichir), a sua nipote Mustang (Arianna Rivas) e altri membri dello staff. È qui che Finn e Gwen scoprono i piani del Rapace, tornato sotto forma di spettro per ottenere la sua vendetta.
Come si può intuire dalla premessa, Black Phone 2 ribalta le proporzioni tra reale e sovrannaturale: se l’azione del primo capitolo si consumava tutta sul piano terreno, e l’elemento fantastico era più sfumato, qui invece assistiamo a un rovesciamento di prospettiva. Il Rapace può influenzare la realtà, ma appare solo in una specie di dimensione onirica, che la stessa Gwen può visitare quando si addormenta; e se state pensando alla saga di Nightmare, avete intuito la direzione scelta dal sequel. Effettivamente l’idea non è nuova, ma Derrickson – coadiuvato dalla fotografia di Pär M. Ekberg – ha le capacità tecniche per trarne qualcosa di suggestivo, soprattutto quando caratterizza l’incubo con la grana del Super 8 e del Super 16 modificato: del resto, i vecchi filmini casalinghi richiamano il tessuto della memoria, parziale e sfumata come i sogni. In tal senso, Black Phone 2 si radica ancora di più in un passato condiviso, pur senza macchiette o ammiccamenti nostalgici. La ricostruzione storica è evocativa, non stereotipata.
Il problema non è certo nella regia, capace di intrattenere con buone intuizioni visive e la giusta dose di raccapriccio, ancora più macabra se consideriamo l’età delle vittime. Il punto, se mai, è che la scrittura fatica moltissimo a giustificare il ritorno del Rapace, e deve affidarsi alla retro continuity per inventarsi un passato che non c’era, e di cui non si sentiva il bisogno. Tra omicidi precedenti e il coinvolgimento della defunta madre dei protagonisti, molte soluzioni narrative suonano affrettate, le spiegazioni forzate. Non è un caso che la sceneggiatura ecceda in momenti esplicativi (ce ne sono almeno due, grossi), né che certi passaggi sfuggano alla logica: il ricorso alla suddetta retcon introduce elementi che avrebbero dovuto emergere già nel primo capitolo, il quale però era stato concepito come autoconclusivo. Cedendo alle tentazioni della serialità, Derrickson rischia persino di dissipare la catarsi del vecchio epilogo, uno dei più soddisfacenti (proprio sul piano catartico) del cinema horror contemporaneo. Il sequel prova in extremis a metterci una pezza, ma è l’ennesima prova che Hollywood è la peggiore nemica di sé stessa, e non sa mai quando fermarsi.
In sala il seguito dell'horror soprannaturale del 2022.
Il film di Elisa Amoruso, scritto da Ilaria Bernardini, articola vari aspetti della maternità attraverso due esperienze diverse ma complementari.
Il 13 ottobre del 1995 usciva nelle sale il film di Roland Joffé, tratto dal capolavoro di Nathaniel Hawthorne.