Cinema

Pocahontas: i 30 anni di un Classico Disney che continua a dividere

Il 23 giugno del 1995 arrivava nelle sale cinematografiche uno dei film d’animazione più ambiziosi di sempre

Pubblicato il 23 giugno 2025 di Giulio Zoppello

Secondo molti l’unico passo falso del Rinascimento della Disney, secondo altri un’opera di grande impegno che non fu premiata come meritata. Pocahontas di Mike Gabriel ed Eric Goldberg a trent’anni di distanza non smette di essere uno di quei film Disney su cui è difficile trovare unanimità di pareri, il che contribuisce a renderlo ancora più affascinante.

Un progetto nato per sbancare agli Academy Awards

Pocahontas nasce come progetto nei primi anni ’90, quando dopo il successo de La Bella e la Bestia, che era stato candidato agli Oscar come Miglior Film, Jeffrey Katzenberg decise che quella statuetta doveva essere l’apice del Rinascimento Disney. Mike Gabriel e Joe Grant avevano portato diversi progetti alla casa madre, tutti scartati. Poi, la loro volontà di fare un film ambientato nel Far West, si incrociò con l’idea di Peter Schneider di fare una versione animata di “Romeo e Giulietta” di Shakespeare. Da lì nacque Pocahontas, che fu sviluppato contemporaneamente a Il Re Leone e che agli occhi della Disney era (incredibile a dirsi oggi) un progetto considerato molto più promettente, e su cui si riversò un budget altissimo e un lavoro di produzione immenso. Furono consultati storici ed esperti di cultura dei nativi americani, si reclutò nientemeno che Mel Gibson come doppiatore, il protagonista maschile, la sceneggiatura finale (frutto di enormi rimaneggiamenti) curata da Carl Binder, Susannah Grant e Philip LaZebnik cercò di essere fedele quanto possibile agli eventi del 1607, alla colonizzazione del New England e la straordinaria epopea della celebre Principessa della tribù algonchina, diventata una vera diva alla corte inglese.

Pocahontas fu disegnata da Glen Keane idealizzando la protagonista, creando a detta di molti un mix tra una top model, una sciamana e la protagonista di un musical della Golden Age. Il fascino vintage fu aumentato dal protagonista, John Smith, incrocio tra l’Errol Flynn dei bei tempi e lo stesso Gibson. Il problema, che per molti ancora oggi priva Pocahontas della capacità di stare allo stesso livello degli altri capolavori Disney di quel periodo, giunse sotto duplice forma: un villain (il Governatore Ratcliffe) poco incisivo ed affascinante e soprattutto un sottobosco di personaggi di scarsa simpatia, spessore e fascino, in particolare gli animali furono resi muti, una novità per la Disney di allora. Il film da questo punto di vista soffrì dell’indecisione insita negli autori su quale tono dare all’insieme, se maturo oppure più adatta ad un pubblico teen. Il risultato finale fu un capolavoro visivo, politicamente audace, ma narrativamente un po’ monco.

Tanto impegno e profondità ma uno scarso fascino

Pocahontas crea immediatamente un fronte ben definito. Pocahontas è una giovane donna dallo spirito libero, rifiuta i dettami della sua tribù, la volontà del padre Powathan di sposare Kocum. Nel momento in cui scoppia l’ostilità coi coloni britannici, la sua relazione con Smith diventa una sorta di tradimento con cui entrambi diventano paria per i rispettivi gruppi di riferimento. Tuttavia, la sua caratterizzazione è alquanto monocorde e priva di carisma, benché interessante come simbolo di emancipazione sia di genere che politica. Pocahontas affronta il tema del razzismo come qualcosa di connesso al potere, al Governatore, alla sua volontà di creare una nemesi esterna con cui spegnere ogni possibile ribellione e contestazione. In lui vi è un villain poco affascinante è vero, ma perché la mediocrità che lo permane è la stessa che realmente hanno uomini di questo tipo. La sua viscida astuzia, la sua capacità di manipolare le masse e di mentire, lo rendono il perfetto esempio di una costante storica. Peccato però che paragonato a Frollo, Scar, Gastone o Malefica, pecchi di fascino, complessità e stratificazione.

Il comparto sonoro è magnifico, Alan Menken ci dona la splendida “Colors of the Wind”, una delle canzoni ancora oggi di maggior caratura della Disney. Ma Pocahontas è così concentrato nel parlarci della tragedia dei nativi, nel puntare (giustamente) il dito contro il peccato originale con l’America è nata, che si dimentica un particolare: essere divertente. La moda New Age impera con la Natura, Nonna Salice, gli animali amici dei due protagonisti, la foresta, ma con una freddezza di fondo abbastanza inusuale per un Classico Disney. Verrà accolto in modo interdetto dalla critica, farà bene al botteghino ma senza sfondare veramente e si prenderà due Oscar, entrambi per la Colonna Sonora, niente Film o altro. Ma la Disney imparerà la lezione, dagli errori qui commessi nasceranno Mulan, Moana, Rapunzel. Fatto interessante, tra i doppiatori minore c’è anche un giovane Christian Bale, che poi sarà protagonista di The New World di Terrence Malick, anch’esso dedicato alla leggenda di Pocahontas. Ma questa è un’altra storia…