Dragon Trainer potrebbe marcare l’inizio di una tendenza ancora più radicale a Hollywood, e i segnali ci sono già: il prossimo remake in live-action di Oceania e la nuova serie di Harry Potter sono lì a dimostrarlo. Mentre cercano proprietà intellettuali da sfruttare, gli studios non tentano più di sperimentare nuovi franchise (nemmeno se tratti da IP già esistenti), ma si rivolgono ai successi del passato recente per evitare ogni rischio. L’obiettivo è riproporre al pubblico qualcosa di familiare, anche se tuttora ricopre un ruolo di primo piano nel nostro immaginario collettivo, e fa parte della nostra quotidianità grazie ai numerosi passaggi televisivi e sui servizi streaming. Anzi, è proprio il successo di questi film sulle piattaforme on-line (come nel caso di Oceania su Netflix e Disney+) a spingere gli studios sulla strada dei remake, passando talvolta dall’animazione al live-action.
Nel caso di Dragon Trainer, peraltro, non cambia neanche il regista: il film è stato infatti affidato a Dean DeBlois, che aveva co-diretto e co-sceneggiato l’originale del 2010, tratto a sua volta dal romanzo di Cressida Cowell. In tal modo, Dreamworks si assicura che il remake segua alla lettera il film animato, sia nei toni sia nel design della produzione, limitandosi ad aggiungere qualcosa per giustificare un’espansione della durata: si toccano le due ore, com’è abitudine dei blockbuster. Il risultato è talmente fedele da destare il sospetto che DeBlois abbia mantenuto persino le stesse inquadrature, o almeno quelle più note.
La trama ovviamente non è una sorpresa. Mason Thames interpreta Hiccup, giovane vichingo – figlio del capo villaggio Stoick l’Immenso (Gerard Bulter) – che vive sull’isola di Berk. Da molti anni la sua gente è in lotta con i draghi, ma Hiccup non ha l’istinto del cacciatore, e fa da assistente al fabbro Skaracchio (Nick Frost), imparando così i segreti della metallurgia e della falegnameria. Nessuno però si fida delle sue invenzioni, né tantomeno delle sue capacità in battaglia. Durante un attacco notturno dei draghi, Hiccup vuole dimostrare il suo valore, e riesce a colpire una Furia Buia – rarissimo drago dalle squame color notte – con un paio di bolas. Quando lo raggiunge, scopre che il drago non è aggressivo come credeva, ma desidera soltanto volare via; purtroppo, non ci riesce perché mutilato della pinna caudale sinistra. Hiccup lo chiama Sdentato per via dei suoi denti retrattili, gli porta del cibo e gli costruisce una protesi, instaurando con lui un rapporto simbiotico: entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro per sopravvivere, soprattutto quando Hiccup è costretto a partecipare alle prove per diventare un cacciatore di draghi.
Insomma, non possiamo aspettarci niente di diverso da questo remake, se non la curiosità di vedere i personaggi di Dragon Trainer in carne e ossa. Dopo avergli prestato la voce nel film animato, Butler centra una delle migliori interpretazioni della sua carriera con questa versione di Stoick, abile com’è a restituire l’imbarazzo paterno di fronte a un figlio reietto. Il lavoro di casting, in generale, è davvero notevole: Mason Thames ha la stoffa del protagonista, Nick Frost si conferma una valida spalla comica, mentre Nico Parker infonde nella vichinga Astrid la giusta dose di fierezza, possanza e fiducia in sé stessa. D’altra parte, stiamo parlando di una storia che avrebbe potuto funzionare fin dall’inizio anche in live-action, e la differenza rispetto ai remake della Disney si vede tutta. DeBlois confeziona un buon film per ragazzi, piuttosto solido negli effetti visivi e ben gestito sul piano spettacolare: si nota soprattutto nelle scene di volo, capaci di trasmettere un senso di vertigine che ci fa stringere i braccioli della poltrona come fa Hiccup con le redini di Sdentato. Ma è sufficiente per giustificare un remake dopo soli 15 anni?
Non è che Dragon Trainer perda qualcosa del suo valore, intendiamoci. L’amicizia tra il giovane vichingo e la Furia Buia è una grande parabola antispecista, dove gli esseri umani imparano a mettere da parte l’antropocentrismo e solidarizzano con altre creature: in sostanza, si tratta di ascoltare l’altro da sé per superare i vecchi pregiudizi (con le relative paure) e imparare a collaborare. DeBlois sa gestire l’impatto emotivo delle storie che racconta, come si vede benissimo quando gli snodi cruciali della trama – e del rapporto fra i rappresentanti delle rispettive specie – sfondano anche la resistenza dello spettatore più disilluso. Il film diverte e commuove, su questo non ci sono dubbi; solo che lo abbiamo già visto. Persino davanti ai suoi momenti migliori, è difficile ignorare la freddezza di questa operazione commerciale, la calcolata precisione con cui Hollywood va a colpire i punti più sensibili. Non stiamo parlando di un vecchio classico che – secondo il ragionamento di un dirigente hollywoodiano – ha bisogno di essere aggiornato per le nuove generazioni: il film del 2010 parla già il loro linguaggio, ed è tuttora in linea con le esigenze ritmiche e tematiche di un blockbuster contemporaneo.
Rifare Dragon Trainer significa solo investire sul sicuro, e foraggiare il pubblico con quello che già conosce. Eppure, le opere migliori sono quelle che si prendono dei rischi, lo vediamo spesso nel cinema internazionale (e in quello americano meno dipendente dalla “fabbrica dei sogni”). Hollywood è stata in grado di edificare un intero immaginario nell’ultimo secolo, ma ora cosa sta costruendo? Quanti film hollywoodiani resteranno effettivamente nella memoria, tra quelli degli anni recenti? La verità è che gli studios sono così terrorizzati dal presente che si stanno dimenticando di scrivere il futuro, e progetti come Dragon Trainer ne sono la prova.
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