Recensioni roberto recchioni SerieTV
Dopo il lungo (e meraviglioso) flashback dell’episodio sei, le fila della narrazione del season finale di The Last of Us si ricollegano direttamente agli ultimi istanti del quinto episodio, con Ellie, Dina e Jesse si rifugiano al teatro a leccarsi le ferite e a scegliere il da farsi. Si vedono le conseguenze psicologiche di quanto fatto da Ellie a Nora, c’è un momento di verità tra Dina ed Ellie e si approfondisce il rapporto tra Ellie e Jesse, con un importante e profondo confronto di punti di vista. Poi si lascia spazio all’azione, verso due scene che tutti gli amanti del videogame aspettavano (perché nodali nello sviluppo dei personaggi e delle vicende nel loro complesso) e temevano (perché molto difficili da portare a schermo con la stessa impietosa durezza del videogame).
A conti fatti, quelli che volevano l’assoluta fedeltà al titolo Naughty Dog resteranno delusi (ma forse dovrebbero però capire che una serie televisiva ha necessità drammatiche diverse da quelle di un videogame e se da una parte si è sacrificato qualcosa, dall’altra si è aggiunto molto, come nello straziante momento del parto cesareo) ma, secondo me, lascerà di stucco chi questa serie la sta approcciando da vergine.
Infine, un colpo di scena finale bello, rapido e brutale e poi il lancio della terza stagione, che ripartirà dal Day One, mostrandoci però tutta la storia dal punto di vista dell’odiata Abby.
La stagione finale di TLOU è finita e ha avuto più di qualche inciampo.
Secondo me, i problemi non sono relativi alla rappresentazione di Ellie e al suo carattere (semplicemente, la Ellie della serie è diversa: più sfumata, più infantile, più realistica per molti versi, di quel monolite di odio omicida inarrestabile che appare nel videogame), non sono legati all’interpretazione di Bella Ramsey, che nel dare corpo alla sua Ellie fa un lavoro straordinario, pieno di umanità, di debolezze ma anche di non poco inquietanti lati oscuri (ma vi prego, guardatela in originale che doppiata perde, purtroppo, moltissimo) e non sicuramente legati all’assenza per larga parte della stagione di Pedro Pascal (che però, quando è in scena, porta un enorme valore, lo ammetto).
Credo che i problemi di questa stagione siano soltanto due:
Va detto che, con il ritorno di Neil Druckmann alla scrittura e alla regia nel sesto episodio, e alla co-scrittura nel settimo, le cose sono sensibilmente cambiate, ma forse è stato troppo poco e troppo tardi, e il danno (parziale) era ormai stato fatto e parte della fiducia e dell’interesse degli spettatori, è andata perduta.
Ed è un peccato perché, pur con tutti i suoi difetti, questa seconda stagione di TLOU resta comunque un’opera-prodotto ben sopra la media televisiva di questo periodo, assolutamente meritoria di essere vista (e, facendo la tara, anche amata).
Cosa dobbiamo quindi aspettarci per il futuro? Intanto, dobbiamo metterci il cuore in pace, visto che la prossima stagione non arriverà prima di due anni. Per il resto, con la quasi certezza della quarta (manca solo l’ufficialità ma tutte le persone coinvolte nella serie ne parlano come di una cosa inevitabile), è chiaro che la struttura rispetterà da vicino quella del videogame, con una terza stagione dedicata il larga parte ad Abby (dove ripercorreremo i tre giorni che poi la porteranno alla scena finale di questa seconda) e una quarta che metterà in scena il capitolo sull’isola di Catalina.
Vi direi che non vedo l’ora ma l’attesa è troppo lunga per trattenere il respiro.
La docuserie Netflix racconta il caso più agghiacciante della cronaca nera britannica, tra testimonianze inedite e orrori nascosti dietro una facciata di normalità.
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