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THE LAST OF US PARTE II: sesta puntata, la recensione di Roberto Recchioni

Prosegue la recensione della seconda stagione di The Last of Us, Roberto Recchioni ci parla del sesto episodio 'Il prezzo'

Pubblicato il 20 maggio 2025 di Roberto Recchioni

L’episodio si apre con un flashback della giovinezza di Joel e di suo fratello Tommy, alle prese con un padre violento e consapevole di esserlo, che cerca di venire a patti con la sua natura violenta. È una scena importante e non solo perché del tutto inedita rispetto a quanto raccontato nel videogame ma anche, e soprattutto, perché racconta qualcosa di profondo sulla natura dei nonni, dei padri e dei figli della famiglia Miller e, più in generale, ci dice qualcosa di profondo sull’essere umano, specie se maschio.

È anche una scena che avrà un enorme riverbero e significato nel finale di questo episodio. Di seguito, una serie di flashback che ci mostrano il giorno del compleanno di Ellie, dai suoi sedici anni, quando assieme a Joel ha trovato rifugio da appena due mesi nella città di Jackson, fino ai suoi diciannove, poco prima di quando l’abbiamo trovata all’inizio di questa stagione.

In questa parte trova spazio una fedele trasposizione di quella che è forse la scena più toccante del videogame ma quello che funziona davvero è tutto quello che di inedito viene aggiunto, per spiegare meglio, dare più corpo e profondità ai personaggi di Joel e di Ellie e al loro complicato rapporto, grazie anche allo sviluppo della storyline (introdotta sin dal primo episodio ma che trova pieno compimento in questa puntata) dedicata ai personaggi di Gail (la psicologa della comunità, interpretata da una sempre eccezionale Catherine O’Hara) e da suo marito Eugene (un Joe Pantoliano che pure con pochissimo screen time riesce sempre a lasciare il segno).

Questi due character e la loro storia sono la cosa migliore aggiunta alla narrazione del videogioco e permettono alla serie di andare molto più in profondità rispetto a certi temi.

Raccontarvi di più sarebbe rovinare non solo il migliore episodio di questa stagione ma anche uno dei migliori episodi in generale di questa serie televisiva.

Passiamo quindi senza indugio alle considerazioni.

La prima che mi viene da fare è che l’autore di un’opera è sempre la persona che conosce e sa gestire meglio l’opera stessa. Craig Mazin sarà anche bravo (lo è, poco da dire), ma non ha quel rapporto intimo e profondo, quella connessione emotiva, con i personaggi e con la vicenda che, invece, ha Neil Druckmann, che il mondo e i protagonisti di TLOU li ha creati. Semplicemente, Druckmann conosce, capisce e sente come nessun altro questo mondo e i suoi protagonisti e sa come portarlo a schermo, rispettandone gli elementi ma anche rinnovandolo e tradendolo, quando necessario.

Questo sesto episodio della serie è scritto da Druckmann, da Halley Gross (altra sceneggiatrice del videogioco) e da Craig Mazin ma, soprattutto, è diretto da Druckmann, e la differenza con le altre cinque puntate che lo hanno preceduto (scritte interamente dal solo Mazin e dirette da una pletora di bravi mestieranti HBO) è sostanziale.

Sono stato molto freddo con questa seconda stagione di TLOU fin qui, non perché la trovassi particolarmente brutta (non lo è) ma perché mi sembrava che, rispetto alla stagione precedente (e al videogame) tutta la storia fosse stata normalizzata e banalizzata, finendo per trasformare The Last of US in una versione elevata di The Walking Dead. Ma, avendo visto la stagione con grande anticipo e per intero, vi ho anche sempre detto che le cose, prima della fine, sarebbero migliorate e di molto. E questo è l’episodio che le migliora, radicalmente, perché basterebbe da solo a dare un senso a tutta la stagione.

Come ci riesce?

Cambiando alcune cose rispetto al videogame (per esempio, la maniera in cui Ellie scopre cos’è successo veramente a Salt-Lake City, risolta molto meglio e maniera meno posticcia nella serie televisiva) e andando oltre a quanto raccontato dal capolavoro videoludico. Druckmann approfondisce e amplia la storia di Joel, dando nuove profondità al suo carattere, spiegandoci meglio perché è diventato l’uomo che è diventato e perché farà quello che poi sappiamo farà.

Ma non solo, nella breve ma folgorante scena tra il giovane Joel e suo padre (interpretato da un intenso Tony Dalton) che apre l’episodio, Druckmann si concede anche il lusso di fare una profonda riflessione sulla natura dell’essere umano, sulla violenza insita in ognuno di noi, sul come cerchiamo di venirci a patti e sulla maniera cui bisognerebbe cercare di spendere la nostra vita (cercando di fare meglio di chi ci ha preceduti, almeno un poco).

Oltre a questo, Druckmann inventa molti nuovi momenti per Ellie e Joel oltre a quelli mostrati nel videogame, approfondendo il perché della loro rottura (qui gli tornano utili i nuovi personaggi di Gail ed Eugene, che mi resteranno nel cuore per parecchio) e creando – se non una scena di perdono e redenzione per Joel – almeno una di sincerità e commiato.

A rendere ancora migliore il tutto, la splendida sintonia tra un dolente e straordinario Pedro Pascal e una versatile Bella Ramsey, che dimostra (ancora una volta in più) quanto sia ampia la sua gamma recitativa, mostrandoci tanti momenti (mentali e fisici) diversi per il suo personaggio, in uno spazio narrativo estremamente limitato.

In conclusione, questo episodio è la ragione per cui si deve amare questa serie. Peccato che in questa stagione sia il solo (anche se, ve lo anticipo, neanche il prossimo è male).

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