Ci sono vari modi per iniziare la recensione di Marcel et Monsieur Pagnol, a seconda del dettaglio che si ritiene più efficace per catturare l’attenzione dello spettatore. Per noi italiani, potrebbe essere interessante partire dal coinvolgimento di Stefano Bollani nel progetto, riprendendo le sue parole pubblicate su Instagram:
“Qualche anno fa ho scritto una lettera d’amore a Sylvain Chomet, il geniale regista e animatore di Appuntamento a Belleville, L’illusionista e Attila Marcel. Gli raccontavo quanto sono innamorato dei suoi film. Mi ha risposto, invitandomi a casa sua in Normandia per conoscerci. Oggi posso finalmente condividere con voi questa notizia: ho composto le musiche del suo nuovo film d’animazione”.
Così, in un attimo, da una parte diamo un’informazione produttiva importante, dall’altra diciamo chi è, cosa ha fatto e quanto è grande il talento di Sylvain Chomet.
Un altro approccio potrebbe essere focalizzarsi sul personaggio, o meglio persona, al centro del film, Marcel Pagnol, uno dei più grandi cineasti, scrittori e drammaturghi francesi, nato nel 1895 ad Aubagne, nel cuore della Provenza, e scomparso a Parigi nel 1974. La sua vita è stata dedicata alla narrativa, al cinema e al teatro, sempre guidato da un profondo amore per la sua terra e da una straordinaria capacità di raccontare l’umanità con semplicità e profondità. Il film infatti è un biopic animato costruito come un lungo flashback, innescato quando, ormai anziano, la direttrice della rivista Elle gli chiede di scrivere a puntate il racconto della sua vita.
Terza ipotesi. Potremmo anche partire dalla genesi del progetto: Chomet fu contattato da Nicolas Pagnol, nipote di Marcel, e da Nicolas Poiret, nipote del produttore Alain Poiret, con l’obiettivo di realizzare un documentario sulla vita di Pagnol. Durante la fase di sviluppo, Chomet creò alcune sequenze animate per sopperire alla mancanza di materiale d’archivio; queste sequenze risultarono così suggestive che si decise di realizzare un film interamente in animazione. Il risultato è stato così interessante da essere invitato al Festival di Cannes, dove lo abbiamo visto.
Insomma, difficile scegliere da dove iniziare. Ciò che è sicuro è che Chomet possiede una delicatezza nello scrivere e animare tale che vedere un suo film significa immergersi immediatamente in un mondo a parte, fatto di disegni di un’altra epoca ed emozioni nostalgiche e sempre un pochino dolci, anche quando mostrano il tragico. Qui passiamo dalla morte prematura di una madre alle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, passando per i primi successi teatrali, l’invenzione del cinema sonoro, la fondazione dei suoi studi a Marsiglia e le difficoltà personali e professionali che lo hanno accompagnato. Non ci sono solo trionfi, ma anche fragilità, momenti di dubbio e sconfitte, come il fallimento di alcune sue opere e le tensioni familiari.
C’è un espediente narrativo affascinante: ad accompagnare Pagnol nelle sue memorie è una sua versione bambina (il Marcel del titolo) che interagisce con lui, lo provoca, lo consola e lo guida attraverso i ricordi della sua vita, a volte anche forse facendoli accadere. Questo espediente permette al film di esplorare la memoria come un dialogo interiore, dove il passato e il presente si confrontano e si arricchiscono a vicenda.
In conclusione, Marcel et Monsieur Pagnol è un’opera che coniuga la magia dell’animazione con uno sguardo intimo e sincero su una delle figure più emblematiche della cultura francese, restituendo al pubblico la ricchezza e la complessità di un uomo che ha saputo raccontare la vita con autenticità e profondità.
Tratto dall'omonimo romanzo di Ariana Harwicz, Die My Love racconta una spirale psichica post parto.
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