Joaquin Phoenix, Pedro Pascal, Emma Stone, Austin Butler davanti alla macchina da presa e Ari Aster, il regista di horror come Midsommar ed Hereditary, alla regia.
Insomma, le attese erano alte. Ma com’è davvero Eddington, il film appena passato in concorso al Festival di Cannes?
Partiamo da una considerazione che è più positiva che negativa, ma che va poi sviscerata meglio: è un film strano. Uno di quelli che cambiano tono durante il proprio sviluppo, che inizia come commedia e finisce come un western quasi horror per le immagini mostrate. Un film che disattende qualsiasi aspettativa di trama o di possibili letture univoche.
Dentro, infatti, c’è di tutto: Black Lives Matter, restrizioni da Covid, il ruolo del digitale nelle fake news, l’ignoranza dei radicali di destra, la stupidità dei liberal di sinistra, il culto delle armi, la paranoia da pedofilia figlia del complottismo alla QAnon, la disinformazione online, la crescita delle big tech, il trauma come narrazione identitaria e la deriva moralista dell’America post-pandemica.
Già il protagonista, interpretato da Phoenix, è un personaggio fuori dal comune. Non si capisce se positivo o negativo. Il film inizia con lui, sceriffo della cittadina di Eddington, in New Mexico, che di notte, mentre è in auto, viene fermato dalla polizia della contea vicina perché non indossa la mascherina. Siamo all’inizio della pandemia. Lui è scettico sulle misure, ha l’asma, ma soprattutto ha un atteggiamento di sfida verso ogni forma di autorità.
Si salva dall’arresto solo perché alla fine, controvoglia, capisce che è meglio abbassare la testa e accettare.
A poco a poco scopriamo quanto sia un uomo in balia degli eventi, devoto a una moglie – Emma Stone – con chiari problemi psichiatrici, costretto a vivere con una suocera invadente che non voleva restare da sola durante il lockdown.
Il suo rivale è il sindaco – Pedro Pascal – con cui si odia fin dall’infanzia. In un impeto di vendetta personale, Joe decide di candidarsi alle prossime elezioni, trasformando la campagna elettorale in un’assurda farsa, aiutato dai colleghi sceriffi.
Fin qui il film sembra una commedia grottesca: ogni tema politico recente viene trattato come pretesto per mostrare l’assurdità e la superficialità con cui molte battaglie vengono portate avanti. Ma poi il tono cambia di nuovo.
Entra in scena Vernon – Austin Butler – un sedicente “salvatore” legato a una sorta di culto che affonda nei traumi dell’abuso. È a quel punto che Louise, la moglie, si stacca definitivamente da Joe, affascinata da una pseudo-terapia che sembra più pericolosa che curativa. E Joe resta solo, disperato, in un mondo che non riconosce più.
Il film è attraversato da uno sguardo profondamente inquieto e disilluso sull’America contemporanea. Ari Aster non prende davvero posizione: non difende né attacca, ma osserva. Ridicolizza i giovani radical chic, denuncia la deriva della paranoia conservatrice, ma soprattutto mostra quanto la realtà si sia liquefatta. E non solo nel discorso pubblico, ma anche nelle relazioni intime.
Nonostante tutto, però, ci si annoia parecchio.
Il film è lungo, si ha spesso la percezione che possa finire… e invece riparte. Le scene finali sembrano più volte conclusive, ma non lo sono. Si gira a vuoto, come il protagonista. Tutto il cast è bravo, a partire da Phoenix, che riprende per molti versi il disorientamento del suo personaggio in Beau ha paura. Emma Stone ha davvero una particina, ma la tiene bene, anche quando sorride e basta, il suo volto si staglia come un elemento importante per racconto, è in grado di innescare le reazioni dei personaggi.
Eddington è un film ambizioso, pieno di idee, forse troppe. Probabilmente è più adatto un pubblico statunitense, che in quella follia collettiva ci si riconosce un po’ di più. Noi europei, per ora, siamo solo sfiorati da quella deriva, anche se la traiettoria, purtroppo, sembra la stessa.