Festival Festival & Co. Recensioni
Giappone. Un ragazzo in metropolitana con gli auricolari guarda dalle vetrate e si distrae giusto un attimo, quando un altro passeggero si arrabbia con una mamma che non riesce a far smettere di piangere il neonato che ha in grembo. La sua mente, in realtà, è altrove, distratta dallo scrolling sul cellulare. Arriva la sua fermata. Scende. E subito arriva una telefonata. È la sua ex ragazza. Si sono lasciati da poco, ma lei è in ospedale. È incinta. Lui è disorientato. Ormai, ad ogni modo, sta camminando da un po’ e ancora non ha raggiunto l’uscita numero 8 della stazione. Anzi, sembra quasi che questi corridoi siano infiniti e tutti uguali. Anzi, non è che sembrano, lo sono. È infatti intrappolato in un loop. Come uscirne? Ci sono delle istruzioni sui cartelloni: ogni volta che noterà qualcosa di “strano” nel tunnel, dovrà tornare indietro. Se non lo farà, il ciclo ricomincerà da capo.
È il prologo di Exit 8, film diretto da Genki Kawamura e presentato nella sezione Proiezioni di Mezzanotte al Festival di Cannes 2025. La trama ricalca fedelmente quella dell’omonimo videogioco giapponese realizzato da Kotake Create, diventato virale su Steam nel 2023 e poi rilasciato anche su Nintendo Switch, PS4 e PS5. Si tratta di un “walking simulator” dall’estetica minimale in cui il giocatore, per poter uscire dal corridoio infinito, deve individuare con estrema attenzione delle anomalie visive. Un espediente tanto semplice, quanto efficace.
Il film riesce a tradurre efficacemente l’esperienza videoludica in linguaggio da cinema. All’inizio, i primi 10 minuti, sono peraltro tutti in soggettiva, come nel gioco. Il risultato, anche quando poi ci si stacca dalla soggettiva, è che si finisce con il giocare con i vari personaggi (ce ne sono tre principali). Tutte le variazioni – una scritta modificata, un poster sbagliato, una figura inquietante – sono inquadrate affinché si attivi l’occhio dello spettatore. Ogni cosa vista (o non vista) da uno di loro è analizzabile anche dallo spettatore. Viene facile dire in più punti: “No, torna indietro” o “Sì, vai avanti, ma fai attenzione”. L’empatia narrativa è immediata ed intensa. Il tutto è supportato da una regia geometrica, piena di richiami a Kubrick e all’artista Escher, da un design sonoro angosciante che inizia alla grande con il Boléro di Ravel, perfetta scelta per l’accumulo della tensione.
Il senso di straniamento è costante. C’è anche una sottile, un po’ buttata lì ma comunque presente, linea tematica: le persone intrappolate nel loop sembrano condividere l’incapacità di affrontare decisioni importanti nella vita reale, in particolare riguardo alla genitorialità.
Nel finale c’è un collegamento esplicito con Platform 8, sequel del gioco, stavolta però ambientato su un treno. Vedremo. Certo è che Exit 8 dimostra che cinema e videogames sono ormai così vicini da poter essere immaginati, fin dall’inizio, come diverse declinazioni della stessa idea.
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