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A Cannes Die My Love divide: grande prova di Lawrence, film che gira a vuoto

Tratto dall'omonimo romanzo di Ariana Harwicz, Die My Love racconta una spirale psichica post parto.

Pubblicato il 18 maggio 2025 di Andrea D'Addio

Dall’Oscar (nel 2013, per Il lato positivo) Jennifer Lawrence ha rallentato le sue interpretazioni. Viaggia a poco più di un film l’anno. Sceglie accuratamente i suoi progetti. Ci deve credere davvero. In Die My Love infatti non è solo interprete, ma anche produttrice con la sua casa Excellent Cadaver. Una cosa, dopo aver visto il film, è certa: è una delle sue migliori interpretazioni. Intensa, capace di far percepire l’inquietudine del personaggio anche durante semplici azioni quotidiane, che sia una passeggiata con la carrozzina o il riordinare casa. La regista, Lynne Ramsay, la mette al centro di tutto. E non potrebbe essere altrimenti. Il film è lei. E, purtroppo, proprio questo ne è il limite.

La storia è tratta dal libro omonimo (ma con la virgola: Die, My Love) della scrittrice argentina Ariana Harwicz. Si tratta di un romanzo breve. Il film dura invece circa due ore. C’è anche un cambio di location: dalla campagna francese alle praterie isolate del Nord America (Calgary, in Canada). Rimane intatto il nucleo del racconto: una donna che si disintegra sotto il peso della maternità, del matrimonio e dell’isolamento.

Grace, per l’appunto, è una giovane madre appena trasferitasi con il marito Jackson (Robert Pattinson) da una grande città (New York?) in una casa di provincia ereditata dopo il suicidio dello zio di lui. Hanno grandi aspettative. Finalmente un luogo in cui lei, aspirante scrittrice, potrà scrivere in pace il suo romanzo. Dopo poco, lei rimane incinta. La nascita del piccolo cambia tutto. Tutta l’inquietudine del suo carattere, già indomito e selvaggio, si innesta in una depressione post partum capace di portarla in una spirale di nevrosi e autolesionismo da cui è difficile uscire, forse impossibile. Non aiuta, almeno all’inizio, il comportamento del compagno, che invece di comprendere e andare incontro, la tratta come se fosse solo un problema caratteriale.

Ci fermiamo qui, ma in realtà c’è poco altro da dire. Il film insiste sullo stesso argomento, ripetendo — con elementi narrativi diversi — sempre lo stesso malessere. Non c’è un vero arco narrativo. Sembra che l’obiettivo sia entrare nella testa dello spettatore a forza, per osmosi, e non per persuasione. È vero che il punto di vista di chi guarda il film influisce molto sulla possibilità di empatizzare con la protagonista, così da sentirsi legittimati a dire “è davvero così” o meno. Ma è altrettanto vero che a livello di scrittura il film è debole. Tanti elementi — a volte interi personaggi — vengono accennati e poi abbandonati: il sonnambulismo, il biker, il padre del personaggio di Pattinson. Altri, invece, come una non definita amica di famiglia, vengono usati solo per dialoghi-spiegone, come quando, incontrando Grace a una festa, ci ricorda che dopo un figlio è difficile tornare la persona che si era, si può essere colpiti da depressione.

Lynne Ramsay cerca forse di ovviare a questa apparente debolezza narrativa costruendo un film visivamente coerente con il malessere della protagonista. Immagini oniriche, inquadrature “piene” che occupano lo schermo in ogni angolo, un montaggio sonoro intenso fatto di musica rock e suoni ambientali così alti da diventare tragici. La decisione di alternare i piani temporali sembra più che altro dettata dalla volontà di mantenere alta l’attenzione di uno spettatore altrimenti potenzialmente annoiato dalla ridondanza delle situazioni.

Pattinson forse non è il miglior attore della sua generazione, ma il suo personaggio gli offre una sola espressione. E quella usa. Nick Nolte ha una particina che ci ricorda come sia ancora un grande attore. Sissy Spacek, nei panni della suocera, ha qualche battuta in più, ma rimane bidimensionale, esiste solo in funzione di ciò che può fare per la protagonista. A parte il personaggio di Jennifer Lawrencema un po’ anche lei — tutto sembra rimanere in superficie. Non si scava a fondo, non si costruiscono relazioni: lei con gli altri, lei con il suo passato. Solo immagini e quadretti a sé stanti in grado di reiterare la sensazione di disagio che vive.

Die My Love non è un brutto film. Ma è un film che si ammira più di quanto si ama.

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