Partiamo dal fondo. Proprio perché questa è una recensione senza spoiler, un consiglio: dopo la prima scena dei credits di Thunderbolts*, e subito prima della seconda, NON leggete i titoli di coda. Leggerli, infatti, potrebbe spoilerarvi il contenuto della seconda scena post-credits. Come è successo a uno che conosco, che sono io. Detto questo, passiamo al film. Ovvero al perché, finalmente, dopo anni, sono uscito dalla visione di una pellicola dell’MCU senza rimuginare. Meglio, con lo stesso sorriso in faccia, a 76 denti, dei vecchi tempi. In più di un senso, Thunderbolts* era esattamente quello di cui c’era bisogno, in questo momento. Per l’MCU, ma pure un po’ per noi, vecchi fan con la barba grigia come quella di Red Guardian.
Quando, nella seconda metà del 1996, la Marvel presentò al pubblico questo nuovo fumetto in uscita intitolato Thunderbolts, non spiegò la vera natura di questa squadra di “eroi”. La sorpresa che i lettori si trovarono davanti, una volta letto l’albo, fu quella di un team di criminali che, adottate delle nuove identità, si fingevano paladini per perseguire i propri scopi. In quasi tre decenni di storie Marvel, i Thunderbolts sono diventati in seguito un gruppo di supertipi composto perlopiù da antieroi ed ex criminali, spesso – ma non sempre – guidati da un eroe vero. Un club per gente come Venom, Elektra o perfino The Punisher. Bene, Thunderbolts*, il film di Jake Schreier, mi ha ricordato l’idea Marvel originale del ’96. Per due motivi diversi.
Il primo è che anche qui si assiste a una trasformazione e a un cambio di allineamento morale, però al contrario. Una banda di assassini e tizi con tutta una collezione autunno-soldato-d-inverno di scheletri nell’armadio, vengono tramutati dal caso in una squadra di buoni. La seconda, e più importante, è che Thunderbolts* non è esattamente il film che pensavamo. A lungo fa tutto per sembrarlo, ma nella seconda parte diventa anche altro, sorprendendomi in positivo.
Voglio dire: tanto per iniziare, i trailer e i pregressi nell’MCU mi avevano fatto pensare a una dose di battute molto più sostenuta. Il braccio artificiale di Bucky messo in lavastoviglie e tutto il resto. E le battute ci sono, sia chiaro, ma perlopiù sono affidate al personaggio più adatto, quella vecchia lenza di Alexei Shostakov, un irresistibile David Harbour. Ma dopo un primo tempo in cui gli eventi sono quasi tutti concentrati in un unico luogo e si svolgono per i protagonisti nell’arco di poche ore, arriva il momento di metterla insieme per davvero, questa squadra di spostati. C’era la difficoltà oggettiva data dall’avere un cast di mezze cartucce dell’MCU pescate da una manciata di film e serie TV Marvel diverse – Yelena Belova, Taskmaster e Red Guardian da Black Widow, U.S. Agent da The Falcon and the Winter Soldier, Ghost da un film di sette anni fa come Ant-Man and the Wasp – e renderle digeribili per chiunque, che abbia visto o meno quelle produzioni.
Ma sbrigata la faccenda con il minimo sindacale di spiegoni camuffati da dialoghi, e dato ai protagonisti un pretesto per far fronte comune, si può passare finalmente al resto. Il pretesto, per la cronaca, è una Crudelia De Mon che deve aver studiato su un testo motivazionale scritto da Norman Osborn. E, ovviamente, il tentativo di contrastarla da parte del Soldato d’Inverno, il deputato più figo della storia della politica mondiale. E quelli, lo ricordo, hanno avuto un Hulk come presidente.
Ho sperato con tutte le mie forze che non mandassero in vacca la storia di Sentry, perché è molto affascinante (fu, peraltro, un’altra sorpresa per i lettori Marvel di quegli anni: venne presentato come un vecchissimo eroe degli anni 40 dimenticato). Fortunatamente, la vicenda di Bob Reynolds e la peculiarità di questo “Superman Marvel con super-problemi” sono rese bene, chiamando anche in causa una dinamica tra due personaggi che ricorda qualcosa visto nell’MCU moooolti anni fa. Emotivamente e narrativamente, Thunderbolts* cambia lì proprio marcia.
È proprio quando la sottotrama di Bob si snoda che Thunderbolts* decolla. Come storia e dal punto di vista emotivo. Perché, subito dopo, succedono un paio di cose clamorose, e c’è spazio sia per citare anni di storia Marvel a fumetti, sia per giocare con il pubblico, con una robina meta, secondo me riuscita. Ne parleremo magari in dettaglio nei prossimi giorni, in un articolo con spoiler.
È un gran film, Thunderbolts*? No, ha un paio di momenti un po’ così nella prima parte. Ma è una pellicola onesta, che fa ben oltre di quanto deve, mette in scena dei combattimenti ben coreografati e un sacco di effetti speciali pratici, tutti attori appesi ai cavi e botti veri, e che al momento giusto ci piazza il sorriso, la tensione, un po’ di cuore. Sinceramente, era difficile sperare in qualcosa di meglio.
Bene così. Non si fosse capito, sono contento.
Ecco la recensione del nuovo film Marvel Thunderbolts* firmata da Roberto Recchioni
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