Nel cinema, poche cose raccontano bene l’animo umano quanto un viaggio in macchina. Lo sanno bene gli americani, che hanno fatto del road movie un genere capace di scavare nella psiche dei suoi personaggi mentre sfrecciano su strade infinite. E lo dimostra anche In viaggio con mio figlio (Ezra), il nuovo film di Tony Goldwyn dal 24 aprile al cinema, che parte dai codici classici del genere per spingersi oltre: oltre le mappe, oltre le formule, verso un racconto commovente e autentico su genitorialità, diversità e il bisogno, profondamente umano, di connessione.
Una storia che parla di amore familiare, differenza e accettazione, In viaggio con mio figlio si inserisce nella tradizione delle commedie americane sui road trip. Ma supera quella tradizione per diventare qualcosa di più fresco, soffermandosi sulla vita di un ragazzo nello spettro autistico, su un padre e un figlio alla ricerca di una connessione più profonda, e su una famiglia fragile che cerca disperatamente di rimanere unita.
Ezra, 11 anni, è brillante, carismatico e ha un modo tutto suo di stare al mondo. La sua diagnosi di autismo sembra pesare più ai genitori che a lui. Dice sempre ciò che pensa – qualità tanto disarmante quanto problematica in certi contesti – e sa esattamente cosa gli serve per sentirsi al sicuro. Suo padre Max (Bobby Cannavale), un comico in cerca di successo nella stand-up comedy, è allo sbando: un matrimonio fallito alle spalle, una carriera che fatica a decollare, e un figlio che ama profondamente ma fatica a capire.
Spinto dalle sue paure e dall’amore per il figlio, Max prende una decisione impulsiva: nel cuore della notte va a prenderlo e parte senza preavviso per un viaggio che cambierà entrambi. Senza meta, senza un piano preciso. Solo con il desiderio, disperato e sincero, di ritrovare quel figlio che gli sta sfuggendo tra le dita. È l’inizio di un’odissea esilarante e disastrosa, dove ogni tappa diventa un’occasione per imparare qualcosa – su Ezra, ma soprattutto su sé stesso.
È qui che il road movie mostra tutta la sua potenza narrativa. Perché la strada, nel cinema, non è mai solo un luogo da attraversare: è un luogo in cui si cambia. In cui si perde il controllo per scoprire che non tutto può essere pianificato. In cui l’imprevisto diventa rivelazione. Max, Ezra, ma anche Jenna (la madre di Ezra) e Stan (il nonno burbero e diretto, interpretato da Robert De Niro), vengono messi alla prova da un percorso che li costringe a spogliarsi delle proprie rigidità, dei propri silenzi e rancori. E a ricostruire, a modo loro, qualcosa che assomiglia a una famiglia.
Con uno su ogni 88 bambini negli Stati Uniti stimato essere nello spettro autistico, In viaggio con mio figlio porta sullo schermo una rappresentazione decisamente necessaria. Ma lo fa senza retorica, scegliendo il realismo emotivo e la complessità dei rapporti familiari.
Il risultato è un film che commuove, diverte e fa riflettere. Un’opera che, come le migliori storie on the road, ci ricorda che a volte la direzione più giusta è quella che non avevamo previsto. Perché alcune strade, per quanto accidentate, conducono dritto al cuore.
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