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Con I Peccatori Ryan Coogler ha finalmente trovato il suo capolavoro

Michael B. Jordan grande protagonista di un mix eccezionale di horror, fantasy, musical e dramma, che morde senza fermarsi

Pubblicato il 15 aprile 2025 di Giulio Zoppello

Ryan Coogler fino ad oggi era stato un regista di difficile valutazione. Benedetto da diversi bluckbuster, è sembrato a lungo un po’ sopravvalutato. I Peccatori però, è il film della sua svolta, è un’opera attraverso la quale, il suo sodalizio con Michael B. Jordan raggiunge l’apice, in virtù di un risultato finale in cui risplende l’anima del cinema di genere, con i grandi mezzi della Hollywood dorata.

Due fratelli, un locale, il blues e un nemico invisibile

Florida, 1932. I gemelli Smoke e Stack (Michael B. Jordan) tornano nella loro città Natale, nel Sud degli Stati Uniti rurali, da cui se ne erano andati tanti anni prima. Sono decisi, sono eleganti, sono pieni di soldi ed ambizioni e soprattutto sono molto pericolosi. Hanno combattuto nel primo conflitto mondiale, poi hanno girato il mondo, fino a farsi un nome nella Chicago in mano ai gangster. Ora sono tornati per aprire un locale, dove l’alcool scorra a fiumi e soprattutto dove il blues sia di casa. Il primo acquisto al loro progetto è il loro cugino Sammie (Miles Caton), talentuosissimo chitarrista. Poi ecco che dal loro passato sbucano altri volti, musicisti, amici, amori di un passato perduto, doloroso spesso, o rimpianto. Intanto il blues, la musica del diavolo, si prepara a regnare in quella serata d’apertura, ma forse ha qualcosa da dire il misterioso Merrick (Jack O’Connell), in quella notte stregata, in cui passato, presente e futuro collidono, in cui la musica è collante di quell’America dimenticata, ghettizzata, schiacciata in quella terra dove il razzismo la fa da padrone. Ma se non fosse neppure lui la cosa peggiore che si può incontrare?

I Peccatori è un’opera ambiziosissima, scritta e diretta da Ryan Coogler, che fin dall’inizio connette l’horror di genere, quello che in particolar modo negli anni ‘80 e ‘90 ci ha donato tantissimi cult leggendari, con un’anima politica, storica, profondissima ed articolata. I Peccatori, infatti, ci dona uno spaccato non semplicemente specifico di quell’epoca, del Sud delle Jim Crow Laws, dove essere neri era poco più che essere animali. Questo è un film che abbraccia anche un’identità felliniana, in cui sogno e realtà, così come ogni possibile emozione e atmosfera, si fondono in modo armonioso, senza che una componente prenda eccessivamente il sopravvento sull’altra. Il risultato finale è il miglior film mai fatto dal regista afroamericano, è uno di quei film che lascia una traccia potente, così la musica e chi la sa creare, bene o male sacerdoti dell’umanità da secoli e da secoli sottovalutati spesso. Onirico, grottesco, romantico, spietato, I Predatori è un sabba cinematografico.

Tra musica e sangue, il ritratto perfetto di un paese incorreggibile

Michael B. Jordan, il divo afroamericano 2.0, per diverso tempo anche lui è apparso a volte una creatura generata dal mercato cinematografico. Qui però, dà ancora una volta la dimostrazione di avere una grande presenza scenica, ma soprattutto di essere un attore in grado di migliorare col tempo in modo sensibile. Ne I Peccatori ha un doppio ruolo, una missione che svolge in modo assolutamente perfetto, perché questi due fratelli, gangster, reduci di guerra, antieroi, sono sì simili, ma anche diversi in sfumature decisive, nel rappresentare l’ambiguità dell’uomo. Qualcosa che Jordan riesce a rendere palpabile e realistico. E poi c’è la musica, la musica di Ludwig Göransson, e poi quella di chitarre, violini, del folk popolare di ogni angolo del mondo, è la grande protagonista di questo film, è usata in modo tale che andrebbe mostrato in ogni scuola di cinema. Recuperando le leggende su un Dio del blues come Robert Leroy Johnson, I Peccatori a volte quasi vira verso il musical, poi sul più bello si ferma, ma è quel fermarsi che lascia spazio a qualcosa di nuovo e diverso. C’è un Jack O’Connell fuori di melone in modo magnifico, poi c’è l’Africa, l’Oriente, la terra d’Irlanda, tutte le note trovano il loro posto, tra sangue e pallottole, così come i migranti trovavano il loro nelle navi.

La musica è il mezzo con cui parlarci di quel mito che si chiamava America, il suo melting pot, ma che Coogler ci fa comprendere essere stato una menzogna. L’America ha cambiato cognomi ai migranti, ha cambiato la loro religione, usi e costumi, ma il ritratto che Coogler e Jordan ci donano, è quello di un paese in cui il razzismo e il classismo sono due volti della stessa medaglia, due facce dello stesso mostro. Si potrebbe stare qui a parlare dei riferimenti a Vampires, Dal tramonto all’alba, a John Carpenter e Spike Lee, ma sarebbe un fermarsi alla superficie. La realtà è che I Peccatori è un film totalmente nuovo, genuino, qualcosa che onestamente non si è mai visto. Lo è per la sua capacità di essere intrattenimento, fedele a quell’horror che ne compone l’ossatura, ma allo stesso tempo è capace di traslare, di illuminarci su un popolo e la sua tragedia, sui difetti di un paese che, bene o male, da quel 1932 non è che poi sia cambiato tanto. Qualche piccolo difetto nel finale, Ryan Coogler è un regista che non ha ancora imparato a contenersi quando serve, ma il risultato finale è poco meno che eccezionale, è qualcosa che vorremmo vedere molto più spesso sul grande schermo.

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