Dopo 80 anni, il 25 aprile continua a essere una data fondamentale nella nostra Storia e naturalmente a dividere, creare contrasti di visione e analisi su quel periodo storico, i suoi protagonisti e la sua eredità. La Resistenza è stata l’inizio di una nuova Italia, sorta dalle ceneri di un ventennio totalitarista che aveva lasciato il paese in frantumi e il suo percorso, un momento fatto di sofferenza, morte e riscatto, narrato sul grande schermo mentre ancora si consumava nel mondo il secondo conflitto mondiale.
L’Italia ha avuto da alcuni dei suoi più grandi registi autentici capolavori sul tema, film che hanno permesso al nostro cinema di risaltare nel mondo, altri invece nei decenni successivi hanno “solamente” raccontato quegli anni, cosa significò dover scegliere da quale parte stare e assumersene i rischi. Quella che segue è un lista comprendente alcuni dei titoli più importanti sulla Resistenza, una Top 5 che se da un lato conferma lo status di alcune pellicole, dall’altro permette di riscoprire film che non vanno dimenticati, in grado di preservare la memoria su un momento della nostra identità e sul perché la Resistenza non vada dimenticata.
Risulta assolutamente doveroso partire con il capolavoro di Roberto Rossellini, non solo il film simbolo della Resistenza, ma soprattutto uno dei più grandi capolavori della storia del cinema italiano, una pietra miliare tuttora considerato il simbolo stesso di quel percorso cinematografico poi passato alla storia col nome di Neorealismo. La Roma occupata dai nazisti, le torture della banda Koch, GAP, la volontà di resistere contro un nemico abietto, amorale e tirannico, vive e respira attraverso gli occhi di Pina (Anna Magnani), di Don Pietro (Aldo Fabrizi) e Manfredi (Marcello Pagliero). Sono protagonisti di una ricostruzione storica che grazie a Rossellini, diventa qualcosa di quasi simile al semi-documentario, data la quasi contemporaneità degli eventi reali con quelli qui narrati. Roma città aperta ci parla di tutto ciò che fu la Resistenza, la Guerra vissuta dal basso, di cosa significò assistervi, del prezzo pagato in termini di terrore, massacri e sofferenza.
Ancora oggi la disperata rincorsa di Pina a quel convoglio, quella raffica di mitra, la sua figura sull’asfalto, sono tra i momenti più potenti del cinema italiano. Roma città aperta è storia vera, reale, è un affresco popolare, ma proprio per questo inestimabile, nel darci la dimensione globale di un quel momento, delle sue diverse componenti e del perché la Resistenza rimanga ancora oggi un momento irrinunciabile della nostra identità. Di fatto c’è un prima e un dopo questo film nella storia del cinema.
Partendo dal racconto di Beppe Fenoglio, Guido Chiesa esattamente 25 anni fa ci dona Il partigiano Johnny, all’epoca criminalmente sottovalutato ed invece capace di mostrarci la Resistenza in modo realistico, ma non per questo privo di uno sguardo intimista, a tratti quasi filosofico. Johnny (Stefano Dionisi) nell’Italia in preda al caos e all’invasore nazista post 8 settembre, come molti altri decide di unirsi alla Resistenza piemontese, lì nella Langhe dove essa avrà fino alla fine uno dei suoi feudi più pugnaci. Con un cast che comprende tra gli altri Fabrizio Gifuni, Claudio Amendola e Giuseppe Cederna, Il partigiano Johnny è un affresco reale, a tratti crudo, comunque dolente, in cui l’elemento della solitudine, anche dell’individualismo come fattore fondamentale della Resistenza, emerge in modo perfetto.
Stefano Dionisi ci dona una grande prova d’attore, nei panni di questo partigiano tipico un po’ apolitico per scelta personale, ma sempre coerente nel voler combattere il nazifascismo. Illuminato dalla bellissima fotografia di Gherardo Ghossi, Il partigiano Johnny è senza ombra di dubbio uno dei migliori film mai fatti sulla Resistenza in Italia. Moderno per visione, per ricostruzione storica, per dinamismo, è allo stesso tempo classico nel dare il giusto tributo a chi si assunse i rischi di lottare per la libertà, ma evitando la retorica, i patetismi, il facile eroismo cinematografico di maniera.
Nel 2009 Giorgio Diritti firma un film coraggioso, per certi versi sicuramente ostracizzato dalla nostra industry, e ci porta dentro i terribili giorni del massacro di Marzabotto. Tra i crimini più efferati mai fatti dall’occupante nazista, quello che più di tutti esemplifica quale censura totale dal punto di vista morale, culturale, esisteva tra l’Italia che cercava di sopravvivere alla guerra e la croce uncinata, il film di Diritti ci dona anche uno squarcio della vita contadina dell’epoca. Con un cast che comprende Maya Sansa e Alba Rohrwacher, L’uomo che verrà è frutto di meticoloso lavoro di ricerca e ricostruzione storica, nel cercare di farci comprendere non tanto il perché di un massacro senza giustificazione, ma il contesto storico, l’iniquità della cosiddetta legge di rappresaglia, l’abisso morale che l’occupante tedesco portò nelle nostre terre, così come l’aveva portato ovunque fosse stato.
Film duro, minimale da certi punti di vista, ma proprio per questo incredibilmente espressivo, L’uomo che verrà unisce in sé il film storico e il film civile, ci ricorda come, ieri come oggi, la storia sia scritta con il sangue, quasi sempre quello degli inermi, di chi finisce tra martello e incudine. Più frutto di una visione da cinema indipendente che del classicismo nostrano, L’uomo che verrà di Giorgio Diritti rimane ad oggi uno dei più sottovalutati, e allo stesso tempo uno dei migliori film mai fatti sulla Resistenza dal nostro cinema.
Napoli possiede un primato di cui non si parla abbastanza oggi, quello di essere stato la prima città in Europa capace di liberarsi con le sue proprie forze dall’occupante nazista. Le quattro giornate di Napoli, la rievocazione di ciò che fu quella settimana di ottobre del 1943, con una città ridotta allo stremo, affamata, disperata, schiacciata da un occupante nazista che più che brutale si dimostrò forse addirittura stupido nel suo approccio, rimane ancora oggi un grande, grandissimo film. La Napoli di quei giorni torna in tutta la sua gloria, la sua miseria, la sua volontà di riscatto che dai vincoli, dalle famiglie, poi risale fino agli scugnizzi di strada.
Nanni Loy crea un racconto di una Resistenza non fatta tanto per motivi politici o patriottici o per ideali, ma per la mera volontà di sopravvivere, di far cessare una sofferenza indicibile e ingiustificata. La regia di Loy già in quel 1962 era incredibilmente moderna, le scene di massa ancora oggi impressionano per il realismo, così come quelle di combattimento urbano, in tutta la loro drammaticità. La Resistenza qui ne esce come atto umano universale, certamente non solo limitato al nostro paese, fatto di cui molto spesso ci si dimentica. Distante dalla natura più articolata del periodo neorealista, Le quattro giornate di Napoli, armato di un cast che comprende Gian Maria Volonté, Aldo Giuffé ed Enzo Cannavale, è però perfetto nel parlarci di un preciso momento della Resistenza, di cui ancora oggi dovremmo essere molto fieri.
La lunga notte del ‘43 di Florestano Vancini. è forse il film più atipico in questa lista. Tratto da un racconto di Giorgio Bassani, ambientato in una Ferrara fredda, infida e malinconica, è un film corale, su un dedalo di personaggi i cui destini si incrociano nei giorni in cui la Repubblica di Salò prende forma e il fascismo anela a una rinascita. Belida Lee, Gagriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno e Gino Cervi sono i volti principali di questo racconto, che unisce fantasia e realtà storica.
Eroismo, vigliaccheria, opportunismo, bontà, bugie e verità dominano i 106 minuti di un film che spesso strizza l’occhio al noir, elegantissimo nel bianco e nero di Carlo Di Palma, ridisegnando i confini del film sulla Resistenza che si amplia a comprendere il prima e il dopo la Guerra, che ci parla dell’ambiguità dell’essere umano, capace di spingersi verso entrambi gli estremi, il bene e il male, in modo imprevedibile. La lunga notte del ’43 è un film fondamentale perché la sapiente scrittura gli permette di essere una via di mezzo in quel 1960 tra il neorealismo ormai esauritosi, e la nuova concezione di dramma intimista, che oltre che da noi anche Oltralpe era diventato molto più centrale. Ci mostra la Resistenza più dall’esterno, ma non per questo in modo meno potente o importante, anzi. Scelto per la conservazione alla Mostra del Cinema di Venezia, l’opera prima di Vancini sa perfettamente come donarci uno sguardo diverso sul dramma umano di quel periodo storico, su come tante vite ne vennero stravolte per sempre.
Scopriamo le prime immagini di Predator: Badlands e So cosa hai fatto, insieme alle nuove clip di Thunderbolts e al trailer italiano di Bird.
Adattamento non didascalico dell'omonimo videogioco, il film di David F. Sandberg compendia vent'anni di tendenze e sottogeneri nell'horror americano.
Un film tratto da un gioco ispirato ai film, in un grande momento per i videogame, su schermi grandi e piccoli.