SerieTV Recensioni The Doc(Manhattan) is in
Sì, lo so. È difficile abituarsi all’idea che sia cambiata la musica della sigla. Che la bellissima theme song della prima stagione di The White Lotus, riarrangiata in salsa vagamente siciliana per la stagione 2, sia stata soppiantata da una più generica, meno orecchiabile e priva degli ipnotici LO-LO-LO-LO-LO-LO-LO-LO delle prime due. Ma concentriamoci per un istante su quello che scorre sotto quelle note. Ancora una volta, affreschi di placide scene bucoliche e cartoline naturali che lasciano presto il posto a un’esplosione di violenza, tra draghi sputafuoco e pesci mangiauomini. È una metafora perfetta della struttura di The White Lotus, la serie HBO che da quattro anni ci porta in vacanza nei resort di lusso più pericolosi del mondo.
Creata da Mike White, che con grande umiltà ha incorporato il proprio cognome nel titolo, The White Lotus è una serie thriller antologica dalla fortissima componente di satira sociale, ambientata nei resort esclusivi dell’omonima catena, in giro per il mondo. Nella prima stagione (2021), a Maui, Hawaii. Nella seconda (2022), a Taormina. In questa terza stagione, trasmessa da noi come le altre su Sky e in streaming su Now in contemporanea con gli USA e arrivata ieri al suo terzo episodio, siamo invece a Ko Samui, in Thailandia. Ancora una volta, la vita di ricchi annoiati si tinge di giallo, ci scappa il morto (o, plurale, i morti. Non si sa), e alcuni degli eventi narrati si intrecciano con personaggi e fatti delle stagioni precedenti.
Il tutto in una gigantesca pentola a pressione in cui viene lasciata a bollire l’ansia, in attesa dell’esplosione.
Guardi un nuovo episodio e non sembra succedere niente di clamoroso, le vicende dei protagonisti avanzano giusto di un pezzettino, eppure la storia nel suo complesso è capace di farti vivere una tensione costante. Per la messa in scena, gli effetti sonori, l’ambiguità dei personaggi e la natura assolutamente inquietanti di alcuni fra questi, sembra quasi che in ogni istante possa calare a picco tutta l’isola, tipo.
Che le cose finiranno male non ce lo dice solo lo storico di questa sfigatissima catena di resort a cinque stelle, dove vai per trovare la calma e il vero lusso è se ne esci ancora sulle tue gambe. È il primo episodio di questa stagione a mettere subito le cose in chiaro, con un bagno in compagnia di un cadavere (per il momento senza volto) e un po’ di raffiche di mitra. Non esattamente il massimo quando stai cercando di trovare il tuo benessere interiore con un costosissimo programma di fuff… saggezza orientale.
Ma poi, subdolamente, il tutto viene riportato all’antefatto, a quanto è successo prima. Ti ritrovi così a far compagnia a un mezzo esercito di protagonisti, quasi tutti parimenti detestabili, affacciato ai parapetti di una sfarzosa Fortezza Bastiani che prima o poi finirà sotto attacco da parte dei Tartari. Ma chi sono qui i Tartari? E cos’hanno da fissare quelle maledette, pacifiche, graziose, orribili, terribili scimmie, tutto il santo giorno? Non avrei dovuto rivedere Link di Richard Franklin l’altra sera, probabilmente.
La formula di The White Lotus funziona, dunque, perché è un giallo classico, ma montato al contrario: solo alla fine scopriremo chi campa e chi no, chi fa cosa e perché. Anziché scommettere sull’identità dell’assassino, qui si tira a indovinare il volto della vittima. Certo, si sente l’assenza di quell’agente del caos perennemente brilla che era Tanya McQuoid (Jennifer Coolidge) a Taormina. In compenso, si torna a parlare di lei e di chi le stava vicino, in questi nuovi episodi, e lo stesso vale per un’altra vecchia conoscenza di Maui, Belinda.
I volti nuovi, invece, sono quanto di peggio il genere umano possa mettere assieme in un ambiente del genere, togliendo giusto i serial killer e i criminali di guerra (forse). C’è la famiglia di Jason Isaacs, talmente insopportabile che al confronto i Malfoy erano dei pezzi di pane. Lui, un ricco uomo d’affari con un’intera collezione di scheletri nell’armadio, e l’impasticcatissima moglie Victoria hanno tirato su tre figli che oscillano tra l’aspirante asceta buddista e un viscidissimo Patrick Schwarzenegger che sarebbe stato accolto a braccia aperte a una cena di Natale dei Lannister di Castel Granito.
Ci sono le tre vecchie amiche Jaclyn, Laurie e Kate, tutte in vacanza a spese della prima (Michelle Monaghan), che è un’attrice famosa. Ma tra loro non esistono formalità, si conoscono da una vita, perciò possono lasciarsi andare a una pausa fatta di pettegolezzi al vetriolo, ripicche, invidia. E c’è Rick (il Walton Goggins di The Hateful Eight e The Shield. Qui, a differenza di Fallout, ha però ancora un naso), losco traffichino in vacanza con la sua giovane compagna. Uno di quei fidanzati capaci di dirti “E su, che sarà mai?”, pure dopo che ti hanno fatto mordere da un cobra.
Sono quasi tutti così magnificamente pessimi che il punto – probabilmente – non è capire chi morirà. Ma chi vorresti non arrivasse vivo ai titoli di coda. Io punto 10 goleador sull’apocalisse scatenata dai primati.
Poi però, quando finisci di disprezzare questa gente, e i loro modi terribili, e il nulla in cui galleggiano, tra un trattamento e una colazione all’aperto, ti arriva il secondo livello di The White Lotus. Alcuni di quei modi di fare e pensare, di quegli atteggiamenti, e certamente la dipendenza dalla tecnologia, ce li abbiamo anche noi, sprezzanti spettatori con il telecomando in mano. È così che funziona del resto la satira sociale: guarda abbastanza a lungo il silente vuoto esistenziale del Deserto dei Tartari, e scoprirai che un pezzo di quel deserto ce l’hai dentro pure te. LO-LO-LO-LO-LO-LO-LO-LO.