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Il Nibbio, la recensione del film di Alessandro Tonda

Pubblicato il 03 marzo 2025 di Lorenzo Pedrazzi

Servono almeno vent’anni per rielaborare un periodo storico nel nostro immaginario condiviso, avvalendosi della giusta distanza critica. Vent’anni è anche il lasso di tempo che ci separa dalla morte di Nicola Calipari, ucciso il 4 marzo 2005 da soldati statunitensi mentre si recava all’aeroporto di Baghdad con la giornalista Giuliana Sgrena, appena liberata dopo un mese di prigionia. Era un’altra epoca, rimasta poi sepolta sotto i traumi della grande recessione e della pandemia di Covid. La politica occidentale era dominata dal neoconservatorismo di George W. Bush – assecondato con gioia dai governi Berlusconi – e la guerra in Iraq rappresentò l’apice dell’interventismo americano dopo l’11 settembre 2001. Il Nibbio (dal nome in codice di Calipari) ricostruisce il sequestro di Giuliana Sgrena e la laboriosa trattativa del SISMI con i rapitori, guidata proprio da Calipari: una rievocazione che, a mente fredda, storicizza eventi e personaggi ormai lontani, facendoli riaffiorare nel nostro inconscio collettivo.

In effetti, il film di Alessandro Tonda ha qualcosa di straniante per il pubblico italiano, poco abituato a ritrovare le istituzioni nazionali (e i suoi volti noti) in una narrazione “di genere”. Sì, perché Il Nibbio è in buona parte una spy story ispirata ai modelli statunitensi, ovviamente quelli improntati al realismo come Homeland o Zero Dark Thirty: la differenza fondamentale risiede nel punto di vista e nel modus operandi, trattandosi di servizi segreti italiani. La sceneggiatura di Davide Cosco, Sandro Petraglia e Lorenzo Bagnatori dedica molto spazio al rapporto tra Sgrena (Sonia Bergamasco) e i rapitori, senza trascurare la sua inchiesta per il manifesto sulle vittime civili delle bombe a grappolo statunitensi. Il fulcro dell’azione è però Calipari (Claudio Santamaria), le cui indagini si alternano a frammenti della sua vita privata con la moglie (Anna Ferzetti) e i figli. Calipari è contrario a qualunque azione di forza, sa bene che per liberare l’ostaggio bisogna stabilire un canale di comunicazione, ma incontra la resistenza di un collega del SISMI e degli stessi americani.

Il copione è abile a rievocare il contesto storico-politico in cui avviene il rapimento, senza mai risultare didascalico. La morte di Enzo Baldoni – rapito e ucciso in Iraq pochi mesi prima – è ancora fresca, e il SISMI non vuole commettere gli stessi errori: ne deriva il quadro di una diplomazia molto cauta, lontanissima dall’autoritarismo statunitense, ma disposta a mediare e fare concessioni. È interessante, a questo proposito, vedere la rete di informatori che i servizi segreti hanno a Baghdad, il cui basso profilo agevola un rapporto più diretto con la popolazione locale. Calipari deve lavorare di fino, in bilico tra le aspettative dell’opinione pubblica e quelle del governo, la presenza ingombrante degli americani e le richieste degli interlocutori sunniti (esclusi dai ruoli chiave nel nuovo governo iracheno, quindi più vicini alla resistenza contro l’invasione occidentale). C’è però anche un lato più emotivo, in parte melodrammatico, che Tonda prende in considerazione: di Calipari vediamo infatti anche l’intimità, il rapporto con la famiglia e quello con il direttore del manifesto, che diventa un’amicizia tra due persone molto diverse. È forse qui che Il Nibbio tende a romanzare un po’, ottenendo risultati più prevedibili rispetto al resto, soprattutto negli screzi con moglie e figli per le molte assenze forzate.

Ciononostante, il ritratto umano ha qualcosa di toccante, e incrementa l’amarezza per l’epilogo che verrà. Tonda riesce così a trovare un equilibrio fra le esigenze dell’omaggio biografico e quelle di un film spionistico, confezionato con grande professionalità (le scene ambientate a Baghdad sono state girate in Marocco) ma senza bisogno di citare Hollywood anche nella sostanza. Perché, se da un lato i modelli sono quelli, dall’altro si avverte l’impegno a cercare una via nostrana, che non esclude le assurdità di un paese tanto contraddittorio e surreale; il “cameo” di Berlusconi, tremendamente realistico nei contenuti, è davvero emblematico in tal senso. Alla fine, però, ciò che conta è la celebrazione di Calipari come uomo perbene, ligio al dovere fino all’ultimo respiro.