Comincia con le atmosfere satiriche di Ruben Östlund, vira sulle ambientazioni tipiche dei fratelli D’Innocenzo, e poi imbocca la via del thriller domestico: Gioco pericoloso di Lucio Pellegrini si svolge in un contesto abbastanza insolito per il cinema italiano, il mondo dell’arte contemporanea, rivelando ben presto un triangolo amoroso che segue le regole base del mystery.
Non a caso, la trama si dipana da un incontro apparentemente casuale. Lo scrittore e critico d’arte Carlo Paris (Adriano Giannini) conosce il giovane artista Peter Drago (Eduardo Scarpetta) al Maxxi di Roma, e resta intrigato dalla sua energia. Il loro rapporto diviene sempre più stretto, soprattutto quando Peter si presenta senza invito a casa di Carlo, che abita in una villetta a Sabaudia con la moglie Giada (Elodie). Quest’ultima, nota coreografa e ballerina, non gradisce affatto la sua presenza, dando l’impressione di nascondere qualcosa. Intanto, mentre Peter si mette al lavoro sulla sua prossima opera, Carlo cerca di superare il blocco dello scrittore. Sarà proprio il suo nuovo amico a ispirarlo: Peter gli racconta infatti la storia di una ragazza misteriosamente scomparsa nei dintorni, e Carlo ne ricava le basi per un romanzo.
Ovviamente la sceneggiatura di Pellegrini ed Elisa Fuksas riannoda tutti i fili dell’intreccio, salvo poi sbrogliarli con un epilogo straniante e metanarrativo, invero abbastanza fuori fuoco. Purtroppo non è l’unico problema di un copione che fatica a individuare la sua strada, e quando la trova si rivela piuttosto tedioso. Certo, è arduo nutrire interesse per i personaggi e la loro sorte, ma non è quello il punto: Gioco pericoloso vaga per terre incerte, divise fra il melodramma, il noir e accenni di erotismo (fin troppo algidi), senza mai accettare l’impegno che ognuno di questi generi richiede. Il risultato finale ha qualcosa di vacuo e pretestuoso, un po’ come le opere di Peter Drago, le cui ambizioni concettuali non si emancipano mai dalla pura vanità.
Eppure, la regia è solida: Pellegrini e il direttore della fotografia Radek Ładczuk (già collaboratore di Jennifer Kent per Babadook e The Nightingale) costruiscono immagini di un certo impatto, particolarmente efficaci quando mettono in scena le performance artistiche. La Groenlandia di Matteo Rovere e Sydney Sibilia, in tal senso, si conferma una realtà produttiva di livello internazionale. Peccato solo che il contenuto non sia all’altezza della confezione, nonostante il tentativo di imbastire un raffinato intrigo fra intellettuali. Tornano alla mente i thriller erotici che Hollywood produceva negli anni Ottanta e Novanta, ma Gioco pericoloso non ha nemmeno il coraggio di spingersi in quella direzione, pur disponendo di un trio attoriale ben assortito: Giannini è molto verosimile come intellettuale ombroso, mentre Scarpetta nasconde bene l’ambiguità inquietante di Peter dietro una maschera gioviale. Dal canto suo, Elodie gioca sullo sguardo per alternare fragilità e determinazione, anche in virtù di una forte presenza scenica.
I loro corpi, peraltro, si muovono in ambientazioni molto ricercate, a dimostrazione del buon lavoro fatto sulle location: oltre al sopracitato Maxxi, da citare la splendida villa in cui vivono Carlo e Giada, ricca di trasparenze come una trappola di vetro. Resta però il rammarico per un film che dissipa tutto il suo potenziale, soprattutto a causa dei limiti nella scrittura.