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Dope Thief su Apple Tv+ è lo specchio dell’America odierna

Wagner Moura e Brian Tyree Henry protagonisti di una miniserie crime fantasiosa, sorprendente e ricca di riflessioni sociali

Pubblicato il 14 marzo 2025 di Giulio Zoppello

Apple Tv+ si conferma una garanza di qualità per ciò che riguarda la serie tv, anche per quelle connesse al genere crime. Dope Thief, tratta dal romanzo di Dennis Tafoya, è una miniserie su cui dovreste investire il vostro tempo, scritta e diretta con mano ferma, un crime perfettamente a metà tra tradizione e innovazione del genere.

Una strana coppia di ladri in mezzo ai guai

Tempi duri a Philadelphia per Ray (Brian Tyree Henry) e il suo amico di lunghissima data Manny (Wagner Moura). La città è in una gravissima crisi economica, interi quartieri sono ormai lasciati in pasto al peggio della criminalità e del traffico di droga. E proprio verso i produttori e spacciatori si concentrano le attenzione di Ray e Manny, che giubbotto della DEA sulle spalle e armi spianate, fanno irruzione nei covi dove si nasconde la droga. C’è solo un piccolo particolare: i due non sono veri agenti della DEA, ma scrocconi, truffatori, rapinatori di altri criminali, insomma due furbastri la cui attività è rapinare i pesci piccoli dell’ambiente criminale e poi sparire nell’ombra. Al di fuori di quest’attività, sembrano due tizi di periferia qualsiasi, con i loro affetti e una vita qualsiasi. Manny ha la sua fidanzata, Ray invece la madre adottiva Theresa (Kate Mulgrew), rimasta sola dopo che il marito Bart (Ving Rhames) è finito in galera. I soldi però non bastano mai e così decidono di alzare il tiro e rapinare un covo di spacciatori sulle colline fuori città.

Manco a farlo apposta, si scoprirà che non sono dei pesci piccoli come gli altri, ma i principali rifornitori delle più temibili gang degli Stati Uniti orientali. La rapina ha successo, ma i due vengono riconosciuti e sulle tracce loro e della refurtiva trafugata, si mettono i peggiori mercenari, la polizia, la vera DEA. Quale sarà la via d’uscita? Dope Thief porta la firma tra i produttori di un certo Ridley Scott e di Peter Craig come showrunner. Si tratta di due nomi che ogni amante del crime e del thriller conosce molto bene, e in effetti fin dal primo minuto Dope Thief ha quest’atmosfera unica, dove a poco a poco prende forma una sorta di dimostrazione della Teoria del Coas. Solo che qui non ci sono farfalle che battono le ali e temporali a New York, ma due criminali molto sui generis, più attori e figuranti che veri gangster, che si muovono su un confine particolare dove legalità e moralità sono difficilmente inquadrabili. Poi però fanno il salto più lungo della gamba e tutto precipita verso una china imprevedibile e sanguinosa, alla fine della quale nulla sarà più come prima.

Una rapina che diventa metafora di una nazione senza speranza

Dope Thief recupera con grande rispetto le atmosfere del meglio che il crime urbano ha avuto nel corso dei decenni da autori del calibro di Don Siegel, William Friedkin e lo stesso Scott. La fotografia di Erik Messerschmidt è un elemento di assoluto pregio con i suoi toni grigi e autunnali, amplifica la volontà di guidarci dentro una sorta di terra di nessuno, un cumulo di cemento, vicoli, case diroccate, specchio di quella fetta di America dove o ci si arrangia o ci si arrangia, nessuno verrà ad aiutarti. Moura, il fu Pablo Escobar, è sempre sopra le righe, ci regala un personaggio istrionico, perennemente su di giri, a tratti involontariamente ridicolo. Brian Tyree Henry non è meno bravo nel tratteggiare un rapinatore casinista, che fa più tenerezza che paura, con una situazione familiare a dir poco terribile. Dope Thief non condanna né assolve nessuno dei due, piuttosto usa un tono neutro, distante, si limita a riprendere i casini allucinanti con cui questa coppia di rubagalline finisce in un giro abitato da criminali, quelli veri, quelli che non si fanno alcuno scrupolo a torturare o ammazzare il prossimo.

Alla fine, di puntata in puntata, la miniserie diventa un cammino atipico ma non privo di coerenza dentro un mondo con regole ferree, sanguinose, dove l’umanità di questa coppia, che strizza anche l’occhio al buddy movie della Hollywood che fu, è assolutamente fuori posto. Abbellita dal frequente uso di un umorismo realistico e mai fuori posto, Dope Thief è un grande tributo all’amicizia virile, ma non abbandona mai il suo tono serio, per certi versi davvero drammatico, la sua capacità di farci empatizzare con due sprovveduti, che realizzano troppo tardi di aver sempre e solo conosciuto la superficie del male. Interessante anche il riferimento al Covid19 (è stata girata durante la pandemia), al concetto di oppressione e isolamento esistenziale. Il tutto rivela la volontà palese di parlarci di un paese allo sbando, in cui classismo, povertà e diseguaglianza sociale ormai dominano incontrastati. Nessuna epica, nessun eroismo, niente glorioso heist movie, solo la patetica lotta per la sopravvivenza dove una volta regnava il sogno americano.