SerieTV serie animata The Doc(Manhattan) is in
Magari è solo la mia bolla, me ne rendo conto. Ma ho come l’impressione che si parli troppo poco in Rete di Win or Lose, la nuova serie animata Pixar di cui stanno uscendo ogni settimana due nuovi episodi su Disney+. E questo mi sembra assurdo, visto che si tratta di una serie brillante, con delle ottime idee e dei temi tutt’altro che banali, che affronta in modo delicato. A cominciare da tutto quello che ci costruiamo in testa per tirare avanti, un giorno dopo l’altro, mentre ci sforziamo per sentirci più accettati dagli altri. Un’armatura da cavaliere? Tipo. Un blob enorme di sudore? Anche.
Ideato, scritto e diretto da Carrie Hobson e Michael Yates, Win or Lose racconta le vite di una serie di personaggi che ruotano attorno a una squadra di softball – che è tipo il baseball, ma si gioca su un campo più piccolo e con regole diverse – di una scuola media, i Pickles, alla vigilia della loro partita più importante.
Win or Lose è una di quelle serie che ti calano in una finta situazione di comfort quando inizi a guardarle. Il primo episodio è incentrato sulla figlia del coach della squadra, Laurie, e sui suoi sforzi per impressionare il padre, nonostante non sia esattamente questa grande giocatrice. Arrivi a metà e, per quanto carina, la storia di Laurie e del blob antropomorfo di sudore che si porta dietro, in quanto manifestazione della sua ansia, ti sembra una tipica storia Pixar sulle difficoltù del crescere. Un Inside Out dall’esterno, con degli stand di JoJo in versione buffa.
Ma quello è in realtà soltanto l’inizio.
L’idea vincente della serie – che è arrivata con quelli di mercoledì a metà dei suoi otto episodi – è che tutte le storie raccontate scorrono in parallelo e si intrecciano nel corso degli stessi giorni. Questo permette non solo di farci vedere gli eventi da tante prospettive diverse, ma soprattutto di ribadire un concetto che tendiamo a dimenticare troppo spesso: quando giudichiamo le persone di primo acchito, è facile sbagliarsi. Perché di quelle persone e delle loro vite non sappiamo assolutamente nulla.
Tutto questo è incarnato alla perfezione dai due episodi su Rochelle, un membro delle Pickles con un lavoretto part time, e sua madre Vanessa, una donna sola che all’inizio è facile etichettare come vanesia e un pelo incosciente, apparentemente più interessata ai suoi follower sui social che a quanto accade alla propria figlia. Basta calarsi nei suoi panni, nell’episodio successivo, per scoprire però che le cose non stanno così, e la sua è un’esistenza tutt’altro che semplice. Avevi la certezza di poterla incasellare in uno stereotipo, e invece ti ritrovi a empatizzare con lei.
Le difficoltà di ciascuno dei personaggi vengono rappresentate, come detto, da un qualche tipo di avatar o trasformazione che si portano dietro e che simboleggiano di volta in volta i loro sforzi, la loro chiusura nei confronti del mondo, i loro problemi. Questo permette ovviamente di aggiungere al racconto un tocco di surreale, e aggiungere delle gag riuscite (una su tutte, l’irruzione di Vanessa alla festa di adolescenti) alla storia, mescolando l’ironia ai momenti più malinconici. La serie proseguirà per altre due settimane, con le due coppie di episodi restanti e altri quattro protagonisti.
Prima di chiudere, sarà il caso di spiegare le polemiche che ci sono state nei mesi scorsi proprio riguardo a uno dei prossimi episodi. In sviluppo sin dal 2020, Win or Lose avrebbe dovuto presentare in uno dei suoi episodi una ragazza transgender, Kai. Si è scelta proprio per questo motivo una doppiatrice trans, Chanel Stewart, per dare la voce al personaggio. Lo scorso dicembre, però, è saltato fuori che tutti i dialoghi su questo argomento sono stati tagliati o modificati alcuni mesi fa.
Kai c’è ancora, il suo episodio pure, ma è una ragazza e non una ragazza trans. Stewart se n’è lamentata, e un portavoce di Disney ha detto a The Hollywood Reporter che “trattandosi di una serie animata per un pubblico giovane, si è pensato che alcuni genitori preferirebbero discutere di persona, con i propri tempi e termini, certi temi con i propri figli”. Uhm.
Detto ciò, il consiglio, come si sarà capito, è di seguire Win or Lose se non lo state già facendo, perché merita. È un po’ Peanuts ai giorni nostri (il baseball come scuola di vita: Charles M. Schulz c’era arrivato già una vita fa), ma soprattutto è scritta bene e ti fa affezionare ai suoi protagonisti, grandi e piccoli. C’è cuore, ci sono le idee, delle scelte di design dannatamente kawaii e il senso della vita, che si vinca o si perda.
E c’è soprattutto un po’ della vecchia magia Pixar che tanti si lamentano in giro di non trovare più. Salvo poi distrarsi quando ne arriva un concentrato settimanale su un campo da softball di periferia.