Se siete amanti del giallo nordico, allora su Netflix c’è una miniserie che fa al caso vostro: Gli omicidi di Are. Diretta da Joakim Eliasson e Alain Darborg, è balzata recentemente in cima alle classifiche internazionali, con già 9 milioni di spettatori. Un vero record. Il motivo? La sua capacità di stupire grazie a personaggi accattivanti ma realistici ed un’atmosfera suggestiva.
Gli omicidi di Are è ambientato in Norvegia, presso la piccola città marittima di Are, il classico posto dove tutti si conoscono e il concetto di imprevedibile è sostanzialmente alieno. Almeno fino a quando non viene denunciata la scomparsa della diciassettenne Amanda (Freddie Mosten-Jacob), una ragazza del luogo, avvenuta durante la festa di Santa Lucia. Delle indagini sulla sua sparizione vengono incaricati il Detective Capo Daniel Lindskog (Kardo Razzazi) e la sua collega, trasferitasi da poco da Stoccolma, la detective Hanna Ahlander (Carla Sehn). I due non potrebbero essere più diversi. Lui è sempre sotto le righe, ligio al regolamento fino all’esasperazione, lei invece è dal carattere imprevedibile, è stata da poco lasciata dal compagno ed è anche sotto inchiesta da parte degli affari interni. Per far luce su quella sparizione, saranno costretti a mettere da parte la reciproca diffidenza e a lavorare assieme. Intanto, attorno a loro, quella piccola comunità si scopre molto più divisa e instabile di quanto sembri, tra gelosie, sospetti e avidità. Gli omicidi di Are è il frutto di un lavoro di raccordo da parte di Karin Gidfors e Jimmy Lindgren, che hanno adattato due romanzi della popolare autrice norvegese Viveca Sten: “Nascosti nella neve” e “Nascosti nell’ombra”. Il risultato finale è alquanto curioso, visto che si tratta in realtà di due storie diverse, compresse però in 5 episodi da 40 minuti l’uno. Ciò che fa la differenza è come si sia scelto di sposare una narrazione molto veloce e accessibile, dove il realismo, anzi il naturalismo, la verosimiglianza, sono protagonisti assoluti. Si seguono i passi di questa strana coppia di segugi dentro quel piccolo ecosistema, che ben rappresenta pro e contro di quel Nord, di cui tutti parlano per efficienza e ordine. Dietro questo però, si nasconde una violenza che affonda le sue radici nel materialismo, nella solitudine e in un’omologazione dittatoriale. Tutti elementi che Gli omicidi di Are usa in modo egregio.
Un elemento che spicca fin da subito in Gli omicidi di Are è il continuo strizzare l’occhio a tanti capisaldi del genere, dal mitico Fargo dei Fratelli Coen a I segreti di Twin Peaks di David Lynch, per poi passare ad altre serie crime nordiche di successo degli ultimi anni come Trapped e Deadwind. Una costante che poi la miniserie mantiene anche con la seconda storia, incentrata sulle indagini di Daniel e Hanna in seguito al ritrovamento del corpo di un uomo fatto a pezzi in mezzo alla neve. La Norvegia assediata dal ghiaccio, avvolta dalle tenebre e da una luce pallida, è uno scenario perfetto per queste due storie fatte di morte e mistero, dove l’apparenza inganna e nessuno è ciò che sembra. Le indagini ci vengono mostrate come connesse ad un iter procedurale puro. Niente geniali intuizioni o sparatorie, qui conta il cervello, lo studio di prove, indizi, telefonate e le chiacchiere a quattr’occhi con testimoni e sospettati. Pure nella brevità complessiva, la miniserie dà il giusto spessore ad ogni personaggio, ci parla di violenza di genere, cyberbullismo, dipinge un ritratto tutt’altro che idilliaco di una società apparentemente ideale, ma in realtà caratterizzata da una diffusa sensazione di insofferenza, frustrazione e incomunicabilità. In particolare, il focolare domestico, il concetto di comunità solidale, vengono completamente azzerati. Se Razzazi è perfetto con la sua flemma e il suo sguardo malinconico nel dipingerci il classico poliziotto di provincia, la Sehn dona alla sua Hanna un fascino unico. Mix intrigante di fragilità e coerenza, idealista in perenne lotta con il suo habitat, sa però come districarsi in un mondo di bugie, segreti, peccati inconfessabili. Una caratterizzazione tanto più azzeccata perché lontana dagli eccessi e dall’aurea di perfezione e invincibilità che l’avrebbero resa priva di complessità. Al momento la critica internazionale sta premiando Gli omicidi di Are alla pari del pubblico e c’è da giurare che Netflix tornerà da Viveca Sten, per prendere in prestito nuovi personaggi e nuovi delitti su cui indagare.