Cinema

La sinfonia architettonica di The Brutalist

Pubblicato il 06 febbraio 2025 di Redazione

Articolo a cura di Federico de Feo

Assistendo a un’opera mastodontica come The Brutalist non ho potuto non pensare a due opere, letteraria e musicale, che nel corso della mia formazione mi hanno fatto comprendere come il racconto narrativo potesse essere allo stesso tempo rappresentato in musica, nell’essenza stessa in cui la musica arriva dove le parole si tacciono. Qualcosa sui Lehman di Stefano Massini e la composizione minimalista tripartita di Steve Reich, Different Trains, potrebbero sembrare inizialmente opere distanti ma al loro interno campeggiano moltissimi elementi che le potrebbero renderle quasi gemelle, condividendo lo stesso palco con l’epopea cinematografica di Brady Corbet.

Massini mettendo in scena l’eterno fallimento del sogno americano, fin dall’arrivo al molo number four di New York del capostipite Henry, ci mostra la formazione della famiglia Lehman e l’impero economico che costruiranno nel corso del tempo; allo stesso tempo Reich nel 1988, indagando nei ricordi più profondi della sua infanzia, riflette musicalmente sul come i suoi viaggi in treno per raggiungere sia New York che Los Angeles, dal 1939 al 1942, fossero in completa antitesi a ciò che stava avvenendo in Europa per tutti coloro che erano di origine ebraica e costretti a frequentare treni ben differenti. Così facendo arrivò al concepimento di una composizione che fondesse non solo musica composta, ma soprattutto la propria memoria sonora e di coloro che erano riusciti a sopravvivere a quegli stessi viaggi, il cui ricordo divenne l’emblema fondante della sua stessa opera.

In tutto questo ritroviamo perfettamente l’essenza stessa di The Brutalist. L’odissea che l’architetto brutalista László Tóth compierà, scappato dal campo di concentramento di Buchenwald per giungere successivamente a Philadelphia, si plasma nell’esperienza narrativa e sensoriale di un’artista che dovrà affrontare un viaggio di redenzione come forma di espiazione della sua vita e della stessa società che gli ha causato tutto quel male. L’artista non si pone solo nella sfida verso una nuova realtà, che dovrà accettare la sua arte e cultura, ma conformerà in essa stessa la propria memoria architettonica così come la violenza stessa causatagli, a discapito di loro stessi che vogliono solo possederlo.

Strutturato in tre sezioni: The Enigma of Arrival, The Hard Core of Beauty, Epilogue, The Brutalist si potrebbe definire a tutti gli effetti un’opera sinfonica, nella maniera stessa in cui in cui la materia prende vita attraverso la conformazione architettonica che László Tóth dà della sua stessa visione del mondo. La diaspora sinfonica composta da Daniel Blumberg, alla sua prima candidatura ai Premi Oscar, riflette in sé stesso il mito del viaggio come forma di cambiamento ed evoluzione, in un costante processo evolutivo, acustico e minimale.

Conformandosi di tre overture (Ship, Làszlo, Bus), così come avveniva nelle grandi composizioni orchestrali della golden age di Hollywood, la scrittura di Blumberg risente fortemente di una formazione minimalista in cui anche ogni elemento acustico presente in scena, diventa anch’egli espressione stessa di ciò che si vuole rappresentare.

L’ostinato trionfale, riprodotto dalla sezione imponente di fiati, sembra replicare costantemente la sirena della nave che preannuncia l’avvicinamento a Ellis Island, così come il ritmo forsennato che guida l’autobus verso Philadelphia definisce il cambiamento emotivo di László verso la scoperta e timore per un nuovo capitolo della sua vita che si sta per compiere. Tutto questo costante squilibrio emotivo rende la colonna sonora un substrato di elementi tra il disturbante e il classico che non può che scomodare il paragone con la stessa opera di Reich.

La dolcezza e la speranza nel tema di László si congiunge perfettamente a una partitura univoca capace di riflettere le geometrie e i vuoti emotivi del film, così come l’essenza sonora dell’architettura brutalista. L’approccio sonoro di Blumberg trasforma l’esperienza cinematografica in qualcosa di profondamente stratificato, e allo stesso tempo universale, fondendo al suo interno sia una perfetta connessione tra musica e architettura che una monumentale sinfonia contemporanea.

Blumberg, intervistato dal critico musicale John Berling, ha spiegato come la creazione della musica per The Brutalist sia avvenuta fin dalla prima stesura della sceneggiatura, tanto da aver già preregistrato alcune sezioni ben prima che iniziassero le riprese.

“Sapevo che non appena avessi iniziato a lavorarci, non mi sarei fermato finché non avessi finito. Quindi la volta successiva che l’ho letto è stato quando è entrato in pre-produzione. Sono andato a stare con lui (Corbet) a Budapest. E sì, appena prima di arrivare lì, ho riletto la sceneggiatura. E da quel momento in poi, è stato un momento pieno. Ogni secondo pensavo al film finché non siamo arrivati al il mixaggio audio finale”.

“La musica che abbiamo costruito, così come il progetto universale a cui Toth si dedica per tutta la durata del film, volevamo che trasparisse come il suono indistinguibile dello stesso artista. Ci sono molte scene in cui solo il pianoforte accompagna le sue disgressioni architettoniche. C’è questa coda chiamata Bicycle dove sta facendo una ricognizione della città che vuole, ne sta forgiando la struttura”.

Allo stesso tempo anche nell’Overture in tre sezioni, che Blumberg ha riprodotto dal vivo nella sequenza iniziale, si conforma perfettamente il fine per cui la musica dovesse rimarcare non solo il viaggio in senso metaforico, ma la costruzione effettiva di una nuova vita, nella sfida di un’artista verso una nuova scoperta.

Musica e architettura hanno sempre seguito uno spartito univoco fin dalle loro prime forme primordiali. Dal modo in cui una composizione scritta si mostra, possiamo comprenderne le venature, i continui movimenti, la strutturazione fisica, così come nell’architettura percepiamo la musicalità degli elementi, la struttura ritmica che ne da un perfetto senso armonico. Come spiega Karlheinz Stockhausen in Testi sulla musica elettronica e sperimentale:

“lo sviluppo della notazione musicale ha portato a una scrittura progettuale che vuole trasmettere un’idea della musica da suonare, invece di una prescrizione da seguire. Queste prescrizioni, che non hanno una relazione diretta con un’idea di musica definita, devono quindi consentire di giungere a un’esatta descrizione della forma, così da non costituire più solo la fase preliminare della composizione. Si può per questo ipotizzare un’idea di partitura il cui senso musicale viene scritto in modo così diretto che la scrittura progettuale riesce a eliminare ogni dubbio sulle sue possibili modalità di realizzazione”.

Così facendo l’esoscheletro della composizione di Blumberg diventa per l’ascoltatore il piano architettonico su cui affidarsi, nell’armonia di una libreria a spirale che si apre, nella definizione brutalista del Memoriale, che sembra ispirarsi al Museo Ebraico di Berlino ideato dall’architetto Daniel Libeskind le cui forme ritmiche si rifanno alle opere del compositore Arnold Schoenberg.

Il modo in cui la colonna sonora è stata concepita e successivamente registrata ha dovuto rispettare non solo l’imprinting architettonico di cui la narrazione è debitrice ma soprattutto il modo in cui Corbet ha scelto di girarlo affidandosi al formato VistaVision.

“Brady ha parlato molto presto del VistaVision e di come avrebbe ispirato alcuni degli effetti della telecamera che avrebbe usato, e quelli [erano] un buon punto di partenza per il modo in cui avrei lavorato ,spiegando le cose ai musicisti, Come volevo che il suono si allungasse – come interagisse con la luce “, ha detto Blumberg a Indiewire.

Questo mirroring musicale delle immagini è probabilmente più evidente quando il mondo inizia a sciogliersi e deteriorarsi per László. Per il punteggio di László ed Erzsébet (Felicia Jones) che hanno preso l’eroina insieme, Blumberg ha viaggiato in uno studio di pittura di un amico a Berlino per registrare con i trombettisti Axel Dörner e Carina Khorkhordina e il bassista Joel Grip. Prima che iniziassero a suonare, Blumberg gli ha mostrato le immagini dei test della fotocamera che il direttore della fotografia Lol Crawley aveva fatto con Corbet a Londra. Quelli e il tema Erzsébet hanno costituito la base per un’improvvisazione di gruppo per prendere il segnale nei luoghi strutturali ed emotivi di cui aveva bisogno per andare.

“È stato davvero un bel caso in cui era molto chiaro come [le immagini] potessero relazionarsi con le dinamiche della musica”, ha detto Blumberg. “Il tema di Erzsébet è molto romantico e sembra quasi il cinema di riferimento in un certo senso; È molto cinematografico nel modo in cui ho sentito che l’immagine era in determinati punti, così forte da deteriorarsi”.

In The Brutalist, musica e architettura si intrecciano in un unico linguaggio espressivo, trasformando la colonna sonora di Daniel Blumberg in un’estensione diretta dell’esperienza visiva e narrativa. Dall’Overture all’intermission, che accompagna gli spettatori in un viaggio sonoro hollywoodiano, la composizione non accompagna semplicemente le immagini, ma ne scolpisce il senso, proprio come László Tóth cerca di dare forma a un mondo che lo ha prima respinto e poi inghiottito. In questa stratificazione fisica, il film di Corbet fonde memoria, estetica e ricerca esistenziale, dimostrando ancora una volta come il cinema possa farsi musica e la musica, architettura dell’anima.