Cinema roberto recchioni Attualità
È il 1952 e Ian Fleming, dopo una vita avventurosa in cui è stato prima un giornalista avventuroso, poi un militare dell’intelligence britannica di alto livello, impiegato nella guerra contro i nazisti, e successivamente di nuovo un giornalista specializzato in reportage in giro per il mondo, si è sposato, scoprendo che la vita coniugale è per lui una grande noia. E lo scopre praticamente da subito, sin dalla luna di miele, periodo in cui, per ammazzare il tedio, si mette a scrivere un romanzo che ha in mente da qualche tempo e in cui riversa le sue molte esperienze e passioni. Lo intitola Casinò Royale e mette al centro della storia una spia internazionale di nome Bond, James Bond. Il libro trova immediatamente un editore e subito dopo il successo. Un successo enorme che spinge Fleming a scriverne altri, sviluppando un rigoroso metodo di lavoro (sei settimane di lavoro nei due mesi invernali che trascorreva in Giamaica: gennaio e marzo di ogni anno, quattro ore di lavoro giornaliere, duemila parole al giorno senza correzioni, un’ulteriore settimana per correggere gli errori e riscrivere dei brani) che gli permetterà, tra il 1952 e il 1964, di scrivere tredici romanzi in tredici anni, con un successo commerciale sempre crescente.
Un successo che, ovviamente, attira l’attenzione del cinema e della televisione. I primi a provarci, nel 1954, appena due anni dopo la pubblicazione del primo romanzo, sono gli americani della CBS, che acquistano i diritti di Casinò Royale e lo adattano per il piccolo schermo nella serie antologica Climax!, in cui James Bond diventa Jimmy Bond, perde il passaporto britannico in favore di quello statunitense e viene interpretato da Barry Nelson. Fleming non è contento. Così, nel 1958, decide di provare lui stesso a trasportare il suo personaggio sul grande schermo. Per farlo, coinvolge il produttore Kevin McClory e lo sceneggiatore Jack Whittingham e assieme sviluppano una storia originale di Bond, non tratta da nessun romanzo (ma in cui vengono introdotti elementi importanti per la saga, come la SPECTRE e il personaggio di Ernst Stavro Blofeld). McClory non riesce a trovare i finanziamenti necessari e il progetto si arena quando il regista legato al progetto e l’attore protagonista decidono di fare un passo indietro, tirandosi fuori dal film. Per la cronaca, i due rispondono al nome di Alfred Hitchcock e Richard Burton.
Nel 1961, Fleming riprende in mano quello script e lo trasforma nel romanzo Thunderball (Operazione Tuono, da noi), non accreditando McClory e Whittingham, che gli fanno causa. Intanto, Fleming ha conosciuto due giovani produttori inglesi che gli hanno fatto un’offerta per comprare i diritti dei romanzi dedicati a Bond (con l’esclusione di Casino Royale, che è ancora in mano alla CBS), e Fleming ha accettato. I due produttori sono Harry Saltzman e Albert “Cubby” Broccoli. Per realizzare il loro film Licenza di uccidere, hanno fondato una società, la Eon Productions, e, anche se non lo sanno, stanno per cambiare per sempre la storia del cinema. I due decidono di adattare per primo il sesto romanzo di 007, Dr. No, perché è il più cinematografico possibile e, per lo scorno di Fleming, che proprio non ama l’idea che un attore scozzese possa interpretare James Bond, scelgono un perfetto sconosciuto come Sean Connery come protagonista. Accanto a lui mettono una altrettanto sconosciuta bellissima donna, Ursula Andress. Il film esce nel 1962 ed è un successo senza precedenti, che viene bissato nel 1963 con From Russia With Love (Dalla Russia con amore). Tutte le persone coinvolte nel “progetto James Bond” vengono proiettate nell’empireo, compreso, ovviamente, Ian Fleming, che però può goderselo poco, perché nel 1964, a pochi giorni dall’uscita nelle sale del terzo film di Bond (Goldfinger), muore per un infarto: lo stress per la causa in cui è coinvolto a causa di Operazione Tuono e il suo tenore di vita (tre pacchetti di sigarette al giorno e un consumo smisurato di alcol) lo uccidono ad appena cinquantasei anni. La Eon Productions di Saltzman e Broccoli si trova di colpo a essere l’unica realtà autorizzata a gestire le storie di James Bond, a parte Casino Royale (che nel 1967 viene adattato in un assurdo film parodia con David Niven, Woody Allen e Orson Welles) e Thunderball, la cui paternità è stata in parte riconosciuta a McClory e Whittingham, e a guadagnarci sopra.
Ora, per fare breve una storia in realtà molto lunga: sin dal suo esordio sul grande schermo, James Bond diventa qualcosa di più grande e universale rispetto ai romanzi di Fleming (che pure sono un successo mondiale). Saltzman e Broccoli non solo inventano il genere action, definendone tantissimi stilemi, non solo fanno sognare il mondo con uomini e donne bellissimi in scenari esotici, ma, soprattutto, riescono a cogliere lo spirito del tempo, intercettando quella rivoluzione sociale, culturale e sessuale che ha investito la Gran Bretagna e poi il mondo.
Per molti anni, ogni film di James Bond è stato un evento culturale che ha impattato sul cinema, sulla moda, sulla musica e, non sto esagerando, sulla vita delle persone. Per ottenere questo, Saltzman e Broccoli sviluppano una formula che prevede tutta una serie di regole non scritte (ma fatte rispettare in maniera draconica) che definiscono come si debba scrivere un James Bond, chi lo possa dirigere, chi lo possa interpretare, cosa ci debba essere per forza in ogni film e cosa, invece, non ci sarà mai. Ma non è solamente questo, perché Saltzman e Broccoli hanno anche l’intelligenza di capire che, per quanto Bond debba essere sempre Bond, sempre perfettamente riconoscibile nonostante l’avvicendarsi di sceneggiatori, registi e, soprattutto, attori protagonisti, Bond deve essere anche capace di cambiare come cambia il mondo, continuando a cogliere lo spirito del tempo. Non sempre la ciambella riesce col buco, ma il tentativo è sempre chiaro ed evidente. E forse è proprio per questo che, nonostante qualche giro a vuoto, la proprietà intellettuale di James Bond è una delle più longeve e di maggior successo nella storia dell’umanità, e una con i fan più fedeli e appassionati: veri e propri bondmaniaci che di 007 non ne hanno mai abbastanza e che non solo aspettano con ansia ogni nuova pellicola, ma comprano qualsiasi cosa che possa essere collegata, anche solo marginalmente, all’agente con il doppio zero, dai numerosi prodotti che appaiono nei film (non a caso, il product placement nella saga di Bond viene ritenuto dagli uffici marketing il più efficace in termini commerciali e, per questo, il più caro da ottenere) ai prodotti correlati come fumetti, videogame (quasi tutti orribili), modellini e gadgettistica varia. Io sono uno di quei fan e ho speso una quantità di soldi notevole in prodotti bondiani, ma, molto più importante di me, Jeff Bezos (AKA: uno dei tre uomini più ricchi del pianeta) è uno di quei fan. E se io posso al massimo comprare un Omega portato al polso da Daniel Craig, Bezos può invece comprarsi Bond stesso.
La prima volta che ci ha provato è stato attorno alla metà degli anni dieci, e leggenda vuole che Barbara Broccoli (figlia di Cubby ed erede dei diritti di James Bond assieme a Michael G. Wilson, il suo fratellastro con cui dirige la Eon Productions) gli abbia chiesto una cifra così assurdamente alta che Bezos abbia detto: “Piuttosto mi compro tutta la Metro-Goldwyn Mayer”. Come Bruce Wayne con la banca che possiede la casa di Clark Kent.
L’acquisizione della casa americana da parte di Amazon avviene nel marzo del 2022, per quasi nove miliardi di dollari. Gli analisti sono certi di due cose:
Per un paio d’anni, tutto tace, ma alle soglie del 2023 si comincia a intuire che esiste un problema: Amazon vuole mettere in produzione un nuovo film targato 007, oltre a un reality show e una serie televisiva, ma Barbara Broccoli gli concede solo il reality (un atroce disastro) e nicchia sul resto. I lavori del prossimo film sono del tutto fermi, non c’è uno script e, conseguentemente, non c’è un attore. Quanto alla serie televisiva, non se ne parla proprio: James Bond è un evento e tale deve restare. Bezos morde il freno ma, sostanzialmente, non può fare nulla. Ma nel novembre del 2024, Michael G. Wilson decide di ritirarsi dalla vita professionale, lasciando la sorellastra Barbara sola alla guida della Eon e a difendere il forte di James Bond.
Bezos capisce che è il momento di fare pressioni e le fa, in maniera abbastanza insistente.
Per tutta risposta, Barbara Broccoli rilascia un’intervista alla stampa in cui dice che quelli di Amazon sono dei “fottuti idioti” (testuale), che non hanno capito nulla di James Bond e che non lo lascerà mai in mano loro.
Poco più di un mese dopo quelle parole, il 20 febbraio 2025, Barbara Broccoli cede il controllo creativo di 007 ad Amazon.
Perché?
Nessuno lo sa con chiarezza.
Si parla di un assegno da un miliardo di dollari staccato da Bezos in persona.
Si vocifera di una guerra segreta condotta da prestanome prezzolati da Amazon, che hanno iniziato a muovere piccole ma fastidiose cause legali contro la Eon per il mancato sfruttamento del marchio di 007 in determinati ambiti commerciali.
Ci sono persino ipotesi ancora più oscure, degne della SPECTRE.
Per come la vedo io, la questione è più semplice.
Uno dei motti che Albert Broccoli ha ripetuto spesso a sua figlia Barbara era: “Non lasciare mai che persone temporanee prendano decisioni permanenti”. Intendeva dire che non bisogna lasciare che figure momentanee, come i presidenti degli studios e i loro sottoposti, prendessero decisioni tali da snaturare in maniera definitiva il personaggio.
Barbara ha preso quella lezione alla lettera, ma ha commesso l’errore di credere che Bezos fosse una “persona temporanea”. Ma la rivoluzione dello streaming che Amazon rappresenta (assieme a Netflix e alle altre piattaforme) non è momentanea: è un cambiamento profondo dell’industria (non positivo, se lo chiedete al sottoscritto), un cambiamento che ha messo in discussione il modello produttivo dei Broccoli, basato sulla produzione di un singolo blockbuster ad alto budget ogni pochi anni, da eventizzare e tenere quanto più lontano possibile dal consumo casalingo.
Bond è ancora uno dei grandi franchise più redditizi e vivi di ogni tempo, ma per quanto tempo ancora resterà tale, senza nessun nuovo film all’orizzonte? Il personaggio, bloccato in un’impasse creativa (persone vicine a Barbara Broccoli hanno riportato che la produttrice non aveva ancora alcuna idea di dove portare 007 nel post-Daniel Craig) e costretto in una guerra di logoramento tra Eon e Amazon, correva il serio rischio di diventare obsoleto. Superato. Dimenticato.
Barbara Broccoli ha sicuramente avuto la tentazione di farlo succedere, ma poi (forse per rispetto all’eredità del padre) ha capito che era giunto il momento di farsi da parte e chiudere un’epoca straordinaria e irripetibile, con calma, dignità e classe.
E ora?
Chiariamo un punto: Bezos è un bondmaniaco e Amazon ha speso troppo su Bond per non fare le cose in grande nell’immediato futuro. Non ci sono dubbi che il nuovo film arriverà presto (se dovessi fare un’ipotesi, direi nei primi mesi del 2027), che sarà produttivamente enorme e che avrà nomi di primo piano alla regia (si è tornato a parlare insistentemente di Nolan, che ora, senza i rigidi dettami della famiglia Broccoli, potrebbe avere abbastanza giogo per portare a schermo la sua versione del personaggio) e per il ruolo protagonista (Aaron Taylor-Johnson resta in pole position). Questo non è garanzia che avremo un bel film, ma nemmeno tutte le pellicole prodotte dalla Eon erano bei film.
Quello che preoccupa di più è che Amazon non vuole (e sostanzialmente, visto l’investimento fatto, neanche può) limitarsi a produrre un nuovo film di Bond ogni due-tre anni. Ci saranno altre opere con il logo 007 messe subito in cantiere e aspettatevi di sentire presto risuonare le note di Monty Norman all’inizio di future serie televisive, prequel, sequel, spin-off, team-up e via dicendo.
Uno sfruttamento che potrebbe banalizzare il marchio e renderlo meno speciale, meno evento.
In secondo luogo, c’è la questione britannica. Bond è una bandiera per il paese, un simbolo identitario nazionale. Ogni film di 007, per quanto quasi da subito sempre prodotto anche dagli americani, è una faccenda nazionale inglese. Un film dell’agente con la licenza di uccidere funziona quando funziona in Gran Bretagna. Se la Gran Bretagna viene meno, James Bond diventa solo un Ethan Hunt qualsiasi. Amazon riuscirà a capire questa cosa e a rispettarla?
Inutile fasciarsi la testa prima del necessario, comunque. In fondo, si vive solo due volte e chissà che questa seconda vita di Bond non sia un nuovo emozionante inizio. Non posso dire che ci credo, ma almeno, ci spero.
Detto questo, Bond è morto?
Sì, il Bond che abbiamo sempre conosciuto è morto, e con lui è morta l’idea di una proprietà intellettuale che poteva resistere da sola allo strapotere delle multinazionali, di produttori indipendenti che potevano sfidare le major e costringerle a giocare secondo le loro regole e con lui è morto anche il film evento vero, quello capace di riunire tante generazioni nella stessa sala cinematografica. Nonostante questo, Bond continuerà quantomeno a esistere.
Mi permetto però di ricordare le parole di Jack London, citate tanto da Ian Fleming in uno dei romanzi di Bond, quanto da M nel finale di No Time to Die:
“La vera funzione dell’uomo è vivere, non esistere. Non sprecherò i miei giorni cercando di prolungarli. Userò il mio tempo.”
In alto i calici per James Bond.