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Due parole sull’orsetto Paddington

Pubblicato il 26 febbraio 2025 di Roberto Recchioni

Prendiamola larga, come sempre, anche per spiegare perché l’orso Paddington ha un ruolo di primo piano prima di tutto nella cultura del Regno Unito e poi in quella mondiale.

Michael Bond si ispirò per la creazione di Paddington a un orsetto di peluche solitario che notò su uno scaffale in un negozio di Londra il 24 dicembre del 1956. Bond disse che “Sembrava piuttosto abbandonato” e lo acquistò per sua moglie. Oltre a risolvergli il problema dei regali di Natale, quel pupazzetto peloso gli fece germogliare un’idea in testa e, in meno di dieci giorni, completò la stesura di un libro per l’infanzia con protagonista un giovane urside proveniente dal misterioso Perù, in cerca di rifugio e di un nuovo inizio, che viene adottato da una famiglia inglese. A Bond quell’orsetto sperduto ricordò i bambini rifugiati ebrei che aveva visto arrivare in Gran Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale e, come quei bambini portavano delle etichette con i loro nomi e indirizzi appuntati sui cappotti, così Bond decise che anche il suo Paddington avrebbe avuto qualcosa di simile: una targhetta con sopra scritto “Per favore, prendetevi cura di quest’orso.”

Creato in un periodo di grande cambiamento sociale e politico nel Regno Unito, il libro di Bond fu immediatamente accolto con entusiasmo, grazie anche alla capacità dell’autore di coniugare elementi di avventura, humor e un profondo messaggio di accoglienza. L’orso venne visto sin da subito come un simbolo della gentilezza britannica e della capacità di accoglienza verso l’altro, un tema particolarmente rilevante in un’epoca in cui l’immigrazione e il multiculturalismo stavano cominciando a giocare un ruolo importante nel tessuto sociale dell’Inghilterra. Alla capacità di intercettare lo spirito del suo tempo e di veicolare messaggi universali e positivi, va aggiunto l’elemento commerciale. A differenza di altre icone inglesi come Peter Pan o Sherlock Holmes, a cui l’orsetto viene spesso accostato, Paddington (al pari dello 007 di Ian Fleming, che gli è di poco precedente) nasce in un’epoca in cui si stanno iniziando a comprendere le infinite potenzialità economiche delle proprietà intellettuali, nell’ottica di uno sfruttamento economico ampio e diversificato.

Quindi, a seguito del successo iniziale, Bond non solo dà vita ad altri libri di Paddington (in tutto ne scriverà ventinove), ma dà pure il via libera a tanti prodotti legati alla sua creazione che però esulano dallo stretto contesto letterario: libri da colorare, fiabe sonore, adattamenti per la televisione e, soprattutto, un peluche ufficiale che merita un approfondimento a parte.

Siamo nel 1971 e Shirley Clarkson incontra casualmente Michael Bond in ascensore. I due parlano un poco, scoprendo uno l’attività dell’altro. Da una parte, uno scrittore per l’infanzia di enorme successo, che ha creato l’orso Paddington; dall’altra parte, una donna in carriera che, assieme al marito, ha fondato una piccola azienda di giocattoli a conduzione familiare, la Gabrielle Designs. I due si devono essere trovati simpatici, in qualche maniera, perché da quell’ascensore Shirley Clarkson esce con l’autorizzazione a produrre un peluche ufficiale da vendere in giro. La prima versione è rozza: la Gabrielle Designs opta per soluzioni che si riveleranno poi un problema, come l’utilizzo di veri stivali per bambini prodotti dalla Wellington, utili a far restare l’orso di pezza in piedi ma molto costosi, oltre che disponibili in quantità limitata. Per questo motivo, l’azienda dei coniugi Clarkson deciderà di investire nella produzione di piccole galoche di gomma rossa, con la suola a forma di zampa d’orso, che verranno poi introdotte anche nei libri.

Il successo commerciale è enorme sin da subito e, assieme a esso, arrivano anche le prime dispute legali. A un certo punto, Shirley Clarkson decide di vendere tutto a Hamleys, il gigantesco negozio di giocattoli di Londra (poi diventato catena internazionale) che, ottenuti i diritti esclusivi di produzione e vendita del peluche, lo sfrutta come non mai. In breve tempo, diventa impossibile arrivare nella capitale inglese senza imbattersi in Paddington, che assurge al ruolo di simbolo cittadino al pari degli autobus a due piani rossi, dei taxi neri, del Big Ben e delle guardie di Buckingham Palace. Grazie alla vendita, la famiglia Clarkson diventa ricca come creso, cosa che sarà di discreto sostegno per uno dei loro figli, Jeremy, per intraprendere la carriera di giornalista televisivo specializzato in motori. E sì, stiamo parlando proprio di QUEL Jeremy Clarkson, quello di Top Gear, Grand Tour e Clarkson’s Farm.

Nel frattempo, Paddington continua a vivere nei libri di narrativa, in quelli illustrati, in adattamenti televisivi e animati e, in tempi recenti (nel 2014), arriva al cinema. Il primo film è una coproduzione internazionale, viene scritto e diretto da Paul King e nel cast figurano tanti volti amatissimi della cultura britannica, tra cui Hugh Bonneville (lo conoscete, probabilmente, per Downton Abbey) e Peter Capaldi (uno dei Doctor Who più amati, un’altra classica icona inglese). A impreziosire il tutto, la presenza della naturalizzata statunitense Nicole Kidman, che comunque è nata nel Commonwealth australiano.

Il successo della pellicola supera le più rosee aspettative perché non solo va commercialmente benissimo in Gran Bretagna, ma spopola anche nel mondo. E non solo: anche la critica è particolarmente favorevole. Nel 2017 esce il sequel e le cose vanno ancora meglio. Stesso regista e sceneggiatore, ma al cast si aggiungono Hugh Grant e Brendan Gleeson, per rimarcare come, al pari di Harry Potter, Paddington sia una faccenda inglese. Altro successo indiscutibile al botteghino e altro plauso della critica.

L’entusiasmo e l’amore che le due pellicole suscitano portano l’orsetto peruviano a scalare la classifica dei film più amati di tutti i tempi, scalzando titoli e autori enormi (anche se per un breve periodo). E in questi giorni è arrivato sugli schermi il terzo capitolo, che ha inizialmente inquietato un poco tutti, visto che alla regia non c’è più Paul King, che resta comunque lo sceneggiatore, ma l’esordiente Dougal Wilson. Timori che si sono rivelati poi infondati perché sì, al film manca un poco lo smalto e la perfezione dei suoi due predecessori (specie del secondo), ma no, la formula non è andata perduta e funziona ancora benissimo, alternando l’avventura al sentimento, con momenti di pura comicità slapstick, il tutto servito da una regia competente, ottimi effetti speciali e l’ormai consueto cast di grandi attori (questa volta, oltre alla famiglia Brown, ci sono Antonio Banderas e Olivia Colman).

Un poco più grande, un poco più spettacolare, un poco meno fresco, come la logica dei sequel impone, ma ancora straordinariamente divertente, ben realizzato e pieno di buoni sentimenti quantomai necessari nel mondo attuale.

Insomma, se la qualità resta questa, si potrebbe continuare a oltranza a realizzare film di Paddington e, personalmente, non mi stancherei mai di vederli. Buoni come un panino con la marmellata!