A maggio del 2024 la giornalista Esther Zuckermam si domandava, sulle pagine del New York Times, se stessimo effettivamente assistendo a una nuova golden age per il mondo delle colonne sonore.
Zuckerman attraverso l’analisi di alcuni casi eclatanti dell’ultimo anno cinematografico come I Saw the Tv Glow che fondava la propria musica originale sugli stilemi dei film adolescenziali anni 90, oppure i grandi blockbuster come Barbie e Spider-Man: Across the Spider-Verse nel 2023, che con la loro congiunzione perfetta di musica originale e hit, erano riusciti nell’intento sia di scalare le classifiche che di rendere la colonna sonora parte fondante del proprio progetto audiovisivo, cercava di spiegare il motivo per cui l’affezione del pubblico verso un perfetto bilanciamento tra una composizione sinfonica e la creazione di canzoni ad hoc avesse ricreato quella sensazione unica di riascoltare ciclicamente quella colonna sonora che tanto ci aveva legato a un determinato film, rimarcando perfettamente quanto di buono la musica aveva significato per l’industria cinematografica dalla fine degli anni 80 ai primi anni 2000.
Ma questa rinascita musicale si riflette anche nei riconoscimenti più prestigiosi del settore e soprattutto nelle candidature odierne ai Premi Oscar per la Migliore Colonna Sonora Originale? Sicuramente rispetto al 2019, momento storico cruciale in cui la musica per immagini tornò a essere il fulcro di un nuovo modo di intendere la narrazione cinematografica, soprattutto nella sua accezione più sperimentale con nomi come la coppia d’oro Trent Reznor e Atticus Ross, Jonny Greenwood e Mica Levi, tutto ciò che viene riprodotto oggi ha sicuramente una cassa di risonanza molto più ampia.
Dai nuovi metodi di promozione che A24 ha attuato anche per le proprie colonne sonore, costruendo un proprio impero musicale indipendente, alla crescente scuola di compositori per immagini avulsi dal contesto cinematografico, sembrerebbe che la musica per il cinema sia tornata a essere un tema dibattuto non solo dalla critica specializzata, ma anche dallo stesso pubblico. Colonne sonore come Challengers, che ha senz’altro definito lo stile musicale del 2024, così come l’epopea musicale che Daniel Blumberg ha composto per The Brutalist, hanno permesso di comprendere a pieno cosa possa rappresentare oggi il fine musicale di un’opera cinematografica.
Classicismo e sperimentalismo hanno dialogato perfettamente rendendo l’anno filmico fortemente rappresentativo e stimolando negli spettatori tutto ciò aveva analizzato perfettamente Zuckerman nel suo articolo: un posto dover poter sempre tornare aldilà del film in sé. Ma a livello qualitativo si può dire che ci sia stata la stessa ricerca? E qui torniamo alla serata cardine che determinerà la migliore colonna sonora di quest’anno.
A pochi giorni dalla cerimonia della 97° edizione dei Premi Oscar tutto sembra essere fortemente aperto per quelle che vengono considerate le categorie principe della roulette (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attore Protagonista Miglior Attrice Protagonista) ma perché per la migliore colonna sonora originale sembra già essere tutto scritto, nonostante la mole di lavori interessanti?
Tralasciando il grande polverone mediatico e social innalzato dopo l’esclusione dalla cinquina finale della colonna sonora di Challengers, vincitrice tra l’altro del Golden Globes per la miglior composizione originale così come dello stesso premio ai Critics Choice Awards, quello che sembra costantemente mancare al Music Branch dell’Academy è il coraggio di osare uscendo anche da quelli che da sempre rappresentato gli stilemi di una colonna sonora hollywoodiana.
Nella fase di valutazione per rendere eleggibile o meno una colonna sonora originale sono molteplici i criteri che devono essere rispettati (l’originalità dell’opera; il fatto che lo score deve essere un lavoro creato appositamente per il film e non deve derivare assolutamente da musica preesistente adattata: e soprattutto il fatto che deve rappresentare almeno il 35% di tutta la musica che viene sincronizzata all’interno del film) e ciò non può essere assolutamente sindacabile, ma senz’altro prendere a esame anche composizioni al di fuori da quelli che sono i titoli con maggior candidature potrebbe essere il primo passo verso una uniformità di giudizio e rappresentazione.
Il comitato ha cercato senza dubbio di rappresentare i titoli musicali ritenuti più influenti dell’anno: The Brutalist con il suo approccio sperimentale; Emilia Pérez con una forte componente musicale narrativa; Il robot selvaggio, che unisce elettronica e orchestrazione tradizionale; Conclave con il suo stile minimalista tipico di Volker Bertelmann; e Wicked, che rappresenta la colonna sonora più classica e orchestrale. Questo equilibrio dimostra sicuramente il tentativo di riuscire a rappresentare più stili differenti, che oggi ritroviamo effettivamente nella composizione di musica per immagini, ma è effettivamente il meglio che l’industria potesse proporre?
Basandoci solamente su un titolo presente nelle maggiori categorie come The Substance rimane alquanto discutibile come la composizione di Raffertie non sia entrata nemmeno nella prima shortlist composta da 15 nomination. La sua composizione ha avuto il merito, a prescindere dallo stile utilizzato, di saper rappresentare perfettamente ciò che la regista si era preposta nella sua narrazione. Un body horror capace di destrutturare il genere proprio attraverso il suo paesaggio sonoro ipnotico e disturbante, in cui ogni elemento acustico contribuiva alla narrazione della metamorfosi fisica e psicologica della sua protagonista.
Allo stesso tempo la scelta di candidare due colonne sonore provenienti da musical (Emilia Pérez, Wicked) è senz’altro particolare proprio perché la forza dello stesso genere risiede prettamente nella funzione narrative che le canzoni hanno e per cui è stata istituita anche una categoria apposita (Miglior Canzone Originale).
Con questo sarebbe alquanto errato sostenere che Il mix di compositori e stili presenti nelle candidature ufficiali non sia ugualmente molto interessante, ma come lo scorso anno con l’esclusione della composizione di Daniel Pemberton per Spider-Man: Across the Spider-Verse e di Mica Levi per The Zone of Interest, non si è ritenuto consono avere tutte le voci possibili che l’industria sapientemente propone, senza tralasciare come due grandissimi della musica per immagini come Alberto Iglesias (La Stanza Accanto) e Alan Silvestri (Here) siano stati completamente snobbati.
Nell’excursus festivaliero antecedente alla serata degli Oscar, escludendo quei film che hanno ottenuto lo stesso riconoscimento ma che non sono presenti nella cinquina finale, solamente The Brutalist è stato in grado di tenere il passo aggiudicandosi il BAFTA per la Migliore Colonna Sonora Originale.
L’opera musicale di Daniel Blumberg è effettivamente la composizione più riuscita delle cinque colonne sonore candidate, non solo per la sua imponenza e magnificenza, ma soprattutto per essere riuscita nell’intento di unire la grande orchestra hollywoodiano con lo sperimentalismo più estremo, citando autori della musica colta come Steve Reich e John Cage e strizzando l’occhio a tutti quegli elementi, come la stessa composizione per l’intervallo, che tanto hanno reso celebre la musica hollywoodiana.
Nonostante oggi il Music Branch sia composto dalle più disparate figure, che senz’altro consentono di avere una visione concentrica di tutto ciò che il mondo della musica per il cinema ha da offrire, sembra mancare ancora quel coraggio che ci faccia effettivamente rendere conto di essere in una nuova golden age. Il pubblico sembra sempre più consapevole e coinvolto nell’universo delle colonne sonore, riscoprendole non solo come accompagnamento al racconto, ma come entità autonome capaci di creare un’identità sonora indelebile per ogni film, e quindi il passo successivo dovrà essere quello di riconoscerne pienamente la pluralità di voci e linguaggi, senza limitarsi ai soliti schemi. Il futuro delle colonne sonore non è scritto, ma forse è tempo che l’Academy impari ad ascoltarlo con più attenzione.