Era il 2018 quando Anthony Mackie, ospite del MCM London Comic-Con, riconobbe di non essere affatto una star del cinema. Ben lungi dall’autocommiserarsi, l’attore stava semplicemente riflettendo sullo stato dell’industria hollywoodiana, dove le vere star non esistono più: il pubblico, ormai, si riversa in massa a vedere i nuovi capitoli delle grandi proprietà intellettuali, più che il nuovo film con protagonista una celebrità di Hollywood. “Nel senso, Anthony Mackie non è una star del cinema” disse con franchezza. “Falcon è una star del cinema. […] Un tempo andavi a vedere il film di Schwarzenegger. Ora vai a vedere X-Men. Quindi, l’evoluzione del supereroe ha significato la morte della star del cinema”.
Queste considerazioni sono particolarmente interessanti alla luce di Captain America: Brave New World, primo film in cui Mackie (alias Sam Wilson) abbraccia il suo alter ego a stelle e strisce. Un’evoluzione raccontata nella serie The Falcon and the Winter Soldier, ma portata a compimento solo adesso nel lungometraggio di Julius Onah, regista nigeriano-americano che alterna produzioni indipendenti a blockbuster con grandi studios. Dato che Steve Rogers (Chris Evans) ha passato lo scudo a Sam, il franchise di Capitan America prosegue non soltanto con un nuovo attore, ma con un nuovo personaggio che ne eredita il titolo, a conferma di quanto l’IP conti più dell’interprete: la macro-saga del Marvel Cinematic Universe continua senza patemi, indipendentemente dagli attori e dagli eroi coinvolti.
Ovviamente il film problematizza questo passaggio di testimone. Sam non è popolare quanto Steve, e non ha mai preso il siero del super-soldato: è un uomo privo di superpoteri, appartenente a una minoranza, che si trova a dover sostituire l’emblema supremo dell’americano WASP (ovvero, quello che gli statunitensi più conservatori vedono come l’americano-tipo). Ad aggravare la situazione c’è un Presidente dal passato burrascoso, Thaddeus “Thunderbolt” Ross (Harrison Ford), ex Generale dell’esercito e Segretario di Stato che non solo ha dato la caccia a Hulk, ma ha supportato gli accordi di Sokovia, contribuendo alla distruzione degli Avengers. Ora però Ross è deciso a collaborare con Sam: gli chiede infatti di ricostruire la squadra, promettendogli che troveranno una soluzione in caso di divergenze.
Purtroppo, la buona volontà del Presidente si esaurisce quando Isaiah Bradley (Carl Lumbly) e alcuni membri dei servizi segreti attentano alla sua vita durante un gala alla Casa Bianca, mentre Ross annuncia i piani per un’equa distribuzione mondiale dell’adamantio (prodigioso metallo che compone il corpo “pietrificato” del Celestiale Tiamut, visto nel finale di Eternals). Il punto, però, è che Isaiah e gli altri non erano consapevoli di ciò che facevano: qualcuno li ha condizionati ad agire contro la loro volontà. Per scagionarli, Sam comincia a indagare su questo misterioso complotto insieme a Joaquin Torres (Danny Ramirez), il nuovo Falcon.
Risulta chiaro fin dal principio che Captain America: Brave New World è anche un sequel de L’Incredibile Hulk, e riannoda uno dei fili lasciati in sospeso dal film di Louis Leterrier, all’alba del MCU. Questo incrocio di destini ha un senso nell’economia della trama, determinando persino una delle intuizioni più valide della sceneggiatura: com’è accaduto per davvero nella Storia recente, la minaccia principale è stata nutrita dall’America stessa (o quantomeno da un suo rappresentante), e costringe il paese a misurarsi con il suo declino nello scenario mondiale. D’altra parte, la saga di Capitan America non si è mai sottratta agli accenni politici, seppure fermandosi alla superficie di un blockbuster. È curioso, in tal senso, che l’uscita di Brave New World coincida con l’insediamento di Donald Trump, seppure in modo accidentale. Le similitudini si limitano al fatto che anche Ross sia un leader controverso, ma vedere Hulk Rosso che ruggisce in cima alla Casa Bianca semi-distrutta fa un certo effetto, ed è un’immagine potenzialmente simbolica.
Peraltro, questa evoluzione di Ross dimostra ancora una volta la maggiore importanza dell’IP rispetto alla star. Fateci caso: Harrison Ford, uno degli attori più famosi del mondo, non compare nemmeno sul poster principale; ciò che conta è che si trasformi in Hulk Rosso. È quello il momento in cui Captain America: Brave New World cede alla consueta formula dei Marvel Studios, incapaci di risolvere un intreccio senza uno spettacolo pirotecnico in CGI. Per più di metà del film, Onah mantiene invece una discreta tensione da spy story, tra accesi scontri verbali (dove la colonna sonora di Laura Karpman dà il suo meglio) e indagini sull’ignoto burattinaio della vicenda. Meno efficaci sono gli spiegoni didascalici che riassumono le “puntate” precedenti, come pure le spacconate virili tra Sam, Joaquin e Isaiah, mai divertenti. È chiaro che l’ironia non appartiene al DNA del film, e suona fuori luogo.
Il paradosso è che, proprio in un blockbuster così rappresentativo delle attuali tendenze hollywoodiane, Anthony Mackie può prendersi il centro del palcoscenico e dare prova delle sue capacità espressive, lasciando trasparire una sfumatura di vulnerabilità oltre le sue doti muscolari. Non a caso, è un attore rispettabile che ha lavorato con registi di alto livello (Jonathan Demme, Clint Eastwood, Spike Lee, Kathryn Bigelow…), e vanta esperienze sia nelle grandi produzioni sia nei film indipendenti. Non sarà una star del cinema, ma almeno sa reggere il peso di una scena drammatica.