Cinema Recensioni roberto recchioni
Quando è arrivato l’invito per l’anteprima di Nosferatu di Robert Eggers, me lo sono perso e con esso ho perso la possibilità di parteciparvi. Sono andato davvero in panico e per risolvere il problema, visto che ci tenevo tantissimo a vedere il film, ho chiamato chiunque potessi chiamare, fatto promesse che non potrò mai mantenere, corrotto, taglieggiato, implorato e, alla fine, sono riuscito a indossare il mio cappotto da vampiro e parteciparvi. A quel punto, ho detto al mio caporedattore: “Domani ti mando la recensione”. “Domani” è diventato in fretta “Dopodomani”, poi “La settimana prossima” e infine “Te la mando il giorno prima che il film esca nelle sale”. Non l’ho fatto. Mi sono, anzi, bloccato, perché dopo The Northman, la versione in salsa norrena di Amleto, terzo film di Eggers, ho capito di non potermi pienamente fidare del mio giudizio alla prima visione di un suo film. Per farla breve, quando ho visto The Northman sono uscito dalla sala molto perplesso e ho scritto subito una recensione tiepida. Tempo dopo però l’ho riguardato, amandolo molto di più, e quella recensione tiepida avrei voluto stralciarla e riscriverla da capo.
Peccato che a nessuno interessi pubblicare un secondo pezzo di un film ormai fuori dalle sale, intitolato “Scusate, m’ero sbagliato”. Non si fa.

Quindi, per non incappare nello stesso problema, ho deciso che dovevo lasciare sedimentare Nosferatu e magari rivederlo prima di parlarne, perché, come avrete intuito, alla prima visione non mi aveva convinto pienamente. E così ho fatto. Il tempo mi ha portato consiglio e ho cambiato idea rispetto alle mie prime impressioni? Arrivate alla fine del pezzo e lo scoprirete.
Prima però, lasciatemi fare un ragionamento che parte da lontano, dal 1922 e dal primo Nosferatu, quello di Murnau, pellicola che amo moltissimo.
Perché il capolavoro del regista tedesco è così speciale? Le ragioni sono molteplici, a cominciare dal fatto che è la prima pellicola a portare sullo schermo il Dracula di Bram Stoker, anche se in una versione con i nomi alterati per evitare rogne legali (spoiler: il trucco non funzionò, visto che la vedova di Stoker fece comunque causa a Murnau e alla società produttrice del film, vincendola, e un tribunale sentenziò che tutte le copie della pellicola sarebbero dovute essere distrutte. Fortunatamente ormai il film era diventato troppo popolare e c’erano troppe copie sparse nel mondo perché si potesse fare davvero). Assieme a Sherlock Holmes, Dracula è uno dei personaggi più popolari e più rappresentati del cinema e della televisione, e tutto nasce dal Nosferatu di Murnau, che riuscì a trovare un modo per adattare il romanzo inadattabile (perché scritto in una forma epistolare ben poco compatibile con il linguaggio visivo) di Stoker e pure a inventarsi alcune caratteristiche (poi diventate praticamente canoniche) che ne migliorarono la formula e che furono riprese da chiunque. Per esempio, nel romanzo originale il vampiro non muore se esposto alla luce solare ma viene solamente indebolito da essa; nella versione di Murnau, invece, il sole lo tramuta in cenere e questa idea sarà poi ripresa pedissequamente (assieme a molte altre) da Tod Browning nel primo adattamento ufficiale di Dracula, prodotto dalla Universal Pictures nel 1931 e, successivamente, dalla quasi totalità di opere dedicate ai succhiasangue. Ma non è solo questo. A livello di scrittura, Murnau mette in atto un processo di essenzializzazione del plot (semplificandolo, certo, ma anche mettendolo più a fuoco) e dei personaggi (eliminando quelli inutili e ridondanti) e, soprattutto, trasforma il ruolo di Mina (Ellen, nella sua versione) da quello di semplice donna da salvare a vera eroina di tutta la vicenda, centrale nello sviluppo della storia e salvifica nel finale. E poi, c’è il lato visivo. Oggi è difficile capirlo, ma prima del Nosferatu di Murnau, certe cose non si erano mai viste, sia in termini di effetti visivi (gli effetti speciali dell’epoca), sia in termini di invenzioni all’interno della grammatica cinematografica (da un certo tipo di montaggio alla scelta delle inquadrature fino, ovviamente, alla fotografia fortemente contrastata e tipica dell’espressionismo tedesco). Ultimo, ma non ultimo, l’aspetto che Murnau decide di dare al suo Conte Orlok (questo il nome scelto al posto di Dracula, sempre per la storia dei diritti), che da una parte è fedele allo spirito del romanzo di Stoker (Dracula è, prima di tutto, una creatura mostruosa) ma dall’altra parte la reinventa da zero, creando una figura iconica autonoma. Quando nel 1931 Browning porta sullo schermo la versione ufficiale del romanzo, tiene ben presente la lezione di Murnau, facendone suoi molti aspetti: il già citato meccanismo della luce solare come punto debole del vampiro, per esempio, ma anche la necessità di rendere più essenziale la storia e, soprattutto, talune soluzioni visive. Quello che cambia è, invece, il ruolo di Mina, che torna a essere quello della debole preda, vittima di un predatore che ne ruba l’innocenza, e l’aspetto di Dracula stesso, qui interpretato da un Bela Lugosi all’apice del magnetismo. Il conte dei Carpazi passa da essere il vecchio ributtante di Stoker al mostro di Murnau, fino all’affascinante straniero di Browning, acquistando quel fascino e quell’eleganza che diventeranno una caratteristica tipica del personaggio. Il successo della pellicola è tale che attorno a essa viene costruito un vero e proprio universo narrativo (quello che oggi viene definito Universal Classic Monsters) fatto di sequel e di film dedicati ad altri mostri più o meno classici. Film dopo film, la qualità è inevitabilmente calata e, con essa, l’interesse del pubblico, fino ad arrivare alle parodie con Gianni e Pinotto (Abbott e Costello) che ne decretarono la fine. Nei tardi anni cinquanta, però, una casa di produzione britannica capì che gli anni erano maturi per una nuova versione cinematografica di Dracula, che riportasse il personaggio alla sua dimensione orrorifica e sanguinaria originale. La sceneggiatura venne affidata a Jimmy Sangster e la regia a Terence Fisher, mentre, per il ruolo di Dracula, si scelse Christopher Lee.

La Hammer aveva le idee molto chiare sull’approccio da seguire: colori saturi (specie il rosso del sangue) da contrapporre al bianco e nero dei film Universal, più violenza mostrata e, soprattutto, più sesso, rappresentato a schermo sia dalle bellezze discinte (per l’epoca) delle attrici prescelte, sia dalla volontà di rendere maggiormente esplicito quel sottotesto sessuale che nell’opera di Stoker era implicito (ma ben presente). Per il resto, il Dracula della Hammer seguiva solo blandamente la storia originale, guardava poco (o per niente) al Nosferatu di Murnau e rubava da Browning solamente l’aspetto estetico del Conte, rendendolo però molto più fisico, più sessualmente carnale e predatorio. Anche in questo caso, il successo commerciale fu enorme e la Hammer, al pari della Universal, creò un suo universo narrativo di mostri e, sempre al pari della Universal, lo sfruttò troppo, facendolo sfociare nel film di exploitation di serie B (a essere generosi). Per qualche anno, Dracula tornò nella sua tomba. Arriviamo così alle soglie degli anni ottanta, quando un regista tedesco già di statura autoriale leggendaria decide di fare un remake di un capolavoro della sua cinematografia nazionale, il Nosferatu di Murnau. Prima di affrontare l’impresa, Herzog studia con attenzione il materiale originale, capendone la portata eversiva per il cinema del suo tempo, e decide di restargli fedele non tanto nella forma quanto nello spirito. Se Murnau era stato un innovatore assoluto sul piano visivo, altrettanto lo sarà Herzog, che deciderà di rifuggire da qualsiasi tentazione citazionista formale per rimanere fedele al suo cinema naturalistico (spesso documentaristico), alla sua “verità estatica”, alla sua contemplazione di una natura selvaggia, ai suoi personaggi perduti e fuori dal mondo. Ma sul piano visivo Herzog segna una discontinuità evidente con il film di Murnau, mentre sul piano narrativo opera un processo di rottura meno evidente, rimanendo estremamente fedele alla struttura dello script originale, cambiandone però in maniera sottile gli equilibri. La storia del Nosferatu di Herzog è quella di un amore sbagliato, mostruoso, tossico, ambiguo, un rapporto di dominio e sottomissione mai chiaro e costantemente messo in discussione, drammaticamente condannato a una fine tragica, dove Lucy (questa volta tocca a lei in questo infinito rimescolamento di nomi e personaggi) e Orlok (qui interpretato da uno straordinario Klaus Kinski, amico-nemico di Herzog e suo attore feticcio) sono protagonisti centrali e alla pari. In questo Nosferatu convivono lo spirito di Murnau e i demoni di Herzog, tanto il vampiro mostruoso quanto quello dolente, tanto la donna-preda quanto la donna padrona del suo destino, tanto l’amore quanto la morte. Il film viene salutato dalla critica per quello che è (un gioiello) e entra nella storia del cinema, accanto al suo progenitore.

Ma la sfida tra tedeschi e americani per Dracula continua.
E nel 1992 esce nelle sale Bram Stoker’s Dracula, di Francis Ford Coppola, che, già dal titolo, racconta le sue intenzioni di essere il più fedele adattamento all’opera originale dello scrittore irlandese mai portata sullo schermo. È vero? In parte sì, perché lo script segue abbastanza fedelmente la storia del romanzo, portandone per la prima volta a schermo tutti i passaggi narrativi e tutti i personaggi, evocandone persino la sua natura epistolare. In parte, no, perché Coppola è un grande amante e conoscitore del cinema e, nella sua versione di Dracula, proprio non può esimersi dal citare e reinterpretare i capolavori del passato. Così, in questo adattamento, trovano posto le invenzioni visive di Murnau, le atmosfere gotiche di Browning, i colori saturi, il sangue, il sesso e la carnalità di Fisher, l’umanità dolente e l’amore di Herzog, in un adattamento che è sia opera nuova che compendio di tutte le opere precedenti. Anche in questo caso, Dracula sbanca di nuovo al box office e viene amato dalla critica.
E siamo all’oggi, a Robert Eggers, al suo Nosferatu e alla ragione per cui state probabilmente leggendo questo lungo articolo. Ora, la combinazione è parsa subito come il cacio sui maccheroni: perfetta. Ma forse, anche un pelo scontata. Specie perché, all’indomani del non grande risultato di The Northman al botteghino, è sembrato abbastanza ovvio che, per guadagnarsi un posto stabile al tavolo delle major, Eggers, il regista di opere spesso disturbanti e difficili come The Witch e The Lighthouse (che, vale la pena ricordarlo, in Italia non ha trovato la via della sala cinematografica), avrebbe dovuto fare una scelta sicura e, per molti versi, conservativa.
Questo non è un male, sia chiaro: non ha senso lamentarsi se un regista bravo a fare determinate cose fa proprio quelle cose. Solo che, forse, alla luce dei film precedenti di Eggers, qualcuno (tra cui il sottoscritto) si sarebbe aspettato un pizzico di incauto coraggio in più. Comunque sia, non conta. Quello che conta è se il film è buono o meno. E lo è? Dipende. Sul piano visivo e formale, poco da dire, il film è sontuoso, ricercatissimo e perfetto. Cita l’aspetto visionario di Murnau nei tanti momenti in cui l’orrore entra in scena e blandisce Herzog negli attimi più naturalistici. Ma, appunto, “cita”. Di suo, di personale, apporta poco. Se Herzog aveva capito che uno degli elementi chiave della pellicola originale di Murnau era il suo portato di innovazione e freschezza rispetto al cinema del suo tempo, Eggers questo non sembra coglierlo e si limita a creare una sua versione, patinata, digitale e hollywoodiana, dell’espressionismo tedesco. Riuscitissima e realizzata con grandissima attenzione e gusto, sia chiaro, ma priva di una scintilla vitale propria.

Sul fronte della scrittura, le cose si complicano. Perché in questo ambito, sì, Eggers cerca di dire qualcosa di nuovo e diverso rispetto ai predecessori, di inquadrare tutta la vicenda sotto un punto di vista originale e inedito, solo che se questo punto di vista è diverso rispetto ai due Nosferatu che lo hanno preceduto (e agli altri film di Dracula che abbiamo citato fin qui), non lo è, invece, rispetto al cinema di Eggers stesso. Perché la grande idea che sta alla base di questo nuovo Nosferatu è che è la donna a essere la ragione del male, che è Ellen a essere l’afflizione di Orlok e non il contrario. Figo, eh? Un bel ribaltamento! Se non fosse che in The Witch le donne erano creature lunari, in contatto con il diavolo e suo veicolo per manifestarsi, streghe perditrici di uomini; in The Lighthouse l’unico personaggio femminile era una sirena, tentatrice di uomini che li porta alla pazzia con lo scopo di divorarli; e in The Northman, i personaggi femminili erano o streghe o madri degeneri che, indovinate? Tentano e divorano i loro uomini (scusate, c’era anche la povera Olga, donna angelicata di cui dimenticarsi appena possibile). E in questo Nosferatu, Ellen è la ragione per cui Orlok si risveglia, la sua concubina bambina, il motivo per cui il vampiro arriva in Germania ossessionato da lei, la causa della strage di tante persone innocenti. E, indovinate qual è l’arma a cui Ellen si affida per liberarsi del vampiro? Il sesso, ovviamente. Che è la stessa arma che le fanno usare anche Murnau e Herzog, ma nel 1922 e nel 1979, diamine, non oggi, nel nostro presente, con la nostra sensibilità del tempo.

Insomma, io capisco che il tema debba essere molto caro a Eggers (regista che comunque amo), ma forse, dopo quattro film, sarebbe ora di cominciare a valutare l’idea di iniziare un percorso di analisi per affrontare i suoi problemi con le figure femminili e il sesso, piuttosto che infliggere una ulteriore iterazione sul tema agli spettatori.
Detto questo, lo script gira abbastanza bene (si siede un poco nella parte centrale ma recupera ritmo nel finale), l’Orlok di Bill Skarsgård è coraggioso e fedele all’immaginario di Stoker (baffi compresi), la fotografia (di Jarin Blaschke) è molto bella e patinata, gli effetti visivi e speciali sono notevoli, la colonna sonora (di Robin Carolan) e il sound design sono straordinari (come tradizione per i film di Eggers), e il cast è di altissimo livello, con una Lily-Rose Depp che trova la parte che la consacrerà (William Dafoe, invece, risulta un poco sprecato nella solita parte che ultimamente lo chiamano a interpretare).
Quindi, a conti fatti, passato del tempo, ho cambiato idea su questo Nosferatu?
Purtroppo, no. Tiepido ero e tiepido sono rimasto. È un film con tante cose buone (mi sono scordato di citare, tra gli altri elementi positivi, gli splendidi costumi e ambienti e il bellissimo montaggio) ma che sul piano visivo non aggiunge davvero nulla e che su quello tematico porta sì alcuni elementi di novità, ma sono altamente discutibili.
Merita di essere visto e di essere visto al cinema?
Assolutamente sì. Sia perché è comunque molto ricco (sia dal punto di vista visivo che auditivo), sia perché se non lo vedete subito, poi come farete a litigarci sopra?