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Emilia Pérez, la recensione di Roberto Recchioni

Pubblicato il 09 gennaio 2025 di Roberto Recchioni

Emilia Pérez è un film diretto da Jacques Audiard, noto regista francese che questa volta si cimenta con uno strano pseudo-musical, raccontando la storia di un boss del narcotraffico messicano che decide di cambiare sesso per sfuggire alla legge e realizzare il sogno di diventare la donna che ha sempre desiderato essere.
La trama segue le vicende di Juan “Manitas” Del Monte (Karla Sofía Gascón), un temuto leader di un cartello messicano, e dell’avvocatessa Rita Mora Castro (Zoe Saldana) che la aiuta nella transizione dal punto di vista legal-economico. La trasformazione porta Juan a diventare Emilia Pérez, ma la sua nuova identità comporta sfide inaspettate, sia perché Emilia dovrà confrontarsi con i misfatti del passato, sia perché non riuscirà a resistere alla tentazione di riavvicinarsi alla sua famiglia, in particolare alla moglie Jessi (Selena Gomez) e ai loro figli.

Emilia Pérez

Questa la trama in sintesi, ora andiamo dritti al sodo. La prendo larga, ma giuro che arrivo in fretta al punto.

Quando nei primi anni Sessanta il cinema americano mostrava ancora i letti separati nelle camere delle coppie sposate, in Francia uscivano film come Jules e Jim di François Truffaut, che esplorava l’idea delle coppie aperte e dei ménage à trois. Questo per dire come, tradizionalmente, il cinema europeo (e quello francese in particolare) si sia sempre fatto meno problemi di quello americano nell’ambito di quello che oggi (con un termine orrendo) definiremmo “politicamente corretto”. Se però in quegli anni il tema caldo era quello della rivoluzione sessuale, dell’emancipazione della donna, della crisi della borghesia e dell’attivismo politico, con gli USA che preferivano stare lontani da questi temi (fino all’arrivo della New Hollywood, quantomeno) e gli europei che invece ne facevano il discorso centrale, oggi la divergenza è su temi come l’appropriazione culturale, la giusta rappresentazione delle minoranze, l’inclusività e via dicendo, e le cose, in qualche maniera, sembrano essersi ribaltate. Il sistema cinematografico americano (per reale attenzione o per calcolo economico, vai a sapere) si è fatto molto attento a questi temi e li affronta (certe volte bene, certe volte male) con estrema consapevolezza, mentre quello europeo sembra sottostimarli o, quantomeno, approcciarcisi in maniera non pienamente meditata che, in teoria, sarebbe una maniera per affermare che un artista può parlare di tutto, nella maniera che preferisce, ma che, nella pratica, si risolve spesso in una certa superficialità.

E veniamo a Emilia Pérez, che è sicuramente un buon film, con un buon script, alcune ottime interpretazioni (no, Selena Gomez, non sto parlando di te, ma di Karla Sofía Gascón e Zoe Saldana), una regia abbastanza incisiva e qualche bel numero musicale. Se proprio dovessi fare il bastian contrario, potrei dire che la pellicola funziona molto meglio nel primo e nel secondo atto che nel terzo, dove invece diventa confusa e perde gran parte delle cose buone mostrate fino a quel momento, ma in generale non me la sento di dire che Emilia Pérez non sia un film riuscito. E infatti sta piacendo e sta ricevendo tanti premi.
Premi assegnati da giurie con una ben ridotta rappresentanza di giurati messicani, però. E qui viene il problema. Perché, a dispetto di tutto il resto del mondo, Emilia Pérez in Messico non sta venendo accolto per niente bene. Perché? Mettiamola così: come la prendereste se un regista francese decidesse di ambientare il suo film in Italia (ma girando in Italia solo per pochi giorni per poi ricostruire il nostro paese in maniera fantasiosa e da qualche altra parte) dando una rappresentazione dello stivale piena di luoghi comuni (in particolare sulla mafia) e di retorica, trattando i numerosi morti delle stragi della nostra storia nazionale con estrema leggerezza e, oltre a tutto questo, chiamasse degli attori spagnoli e americani per interpretare personaggi italiani? Emilia Pérez fa questo, con il Messico. Jacques Audiard è un francese che non parla una parola di inglese, di spagnolo o di messicano, che ha deciso di raccontare una storia ambientata in Messico, girando solo per brevissimo tempo davvero in Messico, legando le vicende del suo film alla tragica cronaca di quel paese e che ha affidato i ruoli delle protagoniste della pellicola (tre personaggi messicani) a un’attrice spagnola e a due americane, che non parlano messicano. Simbolo e summa di questi problemi, l’interpretazione di Selena Gomez che, in lingua originale, sembra una persona che sta pronunciando parole che non capisce, esclusivamente ripetendone a pappagallo il suono.

Emilia Pérez

Questo inficia sulla qualità del film? Non lo so. Nel senso, Emilia Pérez (salvo le note critiche già esposte) mi è mediamente piaciuto come film in quanto tale, ma ho avuto parecchi problemi con l’onestà intellettuale della pellicola, per me seriamente compromessa dall’approccio troppo leggero che il regista ha avuto nei confronti del materiale narrativo. In sostanza, per me Emilia Pérez è un film che, nel suo cuore, manca di verità e che racconta una storia troppo importante e dolorosa senza averla in qualche maniera vissuta da vicino. Perché, sì, è vero, gli artisti possono parlare di qualsiasi cosa, ma nel farlo devono trovare una verità intima che gli appartiene, altrimenti è solo cosmesi.

NOTA IMPORTANTE: ho intenzionalmente deciso di non parlare della rappresentazione di una persona trans fatta dalla pellicola perché non ho una conoscenza abbastanza profonda del tema. Su questo aspetto, mi fido del giudizio della sua protagonista, la straordinaria Karla Sofía Gascón, che ha deciso di prendere parte alla pellicola.