Cinema Recensioni

Babygirl, la recensione di Roberto Recchioni

Pubblicato il 30 gennaio 2025 di Roberto Recchioni

Oggi sembra difficile da credere, ma c’è stato un tempo in cui a Hollywood i film con un alto contenuto erotico erano uno dei tanti generi da poter sfruttare in maniera ciclica. Lo si faceva negli anni venti e trenta, nella scatenata babilonia orgiastica del cinema muto, con pellicole piene di nudo e tematiche sessualmente esplicite (due esempi: A Fool There Was, del 1915 e Ecstacy, del 1933. E lo si è continuato a fare, anche se in maniera più sottile e implicita, anche con l’avvento, nel ‘34, del rigidissimo Codice Hays, un sistema autocensorio che imponeva rigidissime regole morali (che non impedirono la realizzazione di pellicole come Gilda o Il postino suona sempre due volte, entrambi del ‘46, Un tram chiamato desiderio, del 1951 e molti altri). E sono esplosi di nuovo, in maniera devastante, nel 1968, proprio con l’introduzione del sistema di classificazione MPAA, che permise di distinguere i film per un pubblico maturo tanto dalla pornografia quanto dalle pellicole per tutti.

È un questa fase che nascono opere come Midnight Cowboy (1969) e che arrivano sugli schemi statunitensi film come Ultimo tango a Parigi e Emanuelle, e molte altre, tutte legate alla corrente della “New Hollywood”. Negli anni settanta, il confine tra cinema erotico e pornografia diventa labile e opere come Gola profonda o Dietro la porta verde (entrambi del 1972) vengono proiettati in cinema tradizionali, attirando un pubblico mainstream. Il porno però non fa in tempo a maturare come un vero genere artistico perché la nascita del settore dell’home video (e il conseguente, mostruoso, flusso di denaro a fronte di investimenti minimi) sposta il cinema a tripla X nelle case non più nei cinema. Intanto, arrivano gli anni ottanta e il cosiddetto “MTV cinema”, quei film largamente influenzati dallo stile e dal ritmo dei video musicali che in quel periodo spopolano, che subito viene declinato anche in salsa erotica. Ne nascono opere come 9 settimane e ½ , Attrazione fatale, Proposta indecente, Orchidea selvaggia, Basic Instinct. Il trend tiene duro fino a metà degli anni novanta ma poi, tra il 95 e il 96, tre grossi film floppano malissimo: Showgirls, Jade e Striptease. Hollywood capisce che il vento è cambiato e ripone il genere in soffitta. Solamente Kubrick, nel 1999, con Eyes Wide Shut prova a toglierlo dalla naftalina ma è un caso isolato che non genera ulteriori epigoni.

Il nuovo secolo è ci porta un cinema (mainstream e americano, nel mondo indipendente e nelle cinematografie di altre nazioni la storia è differente) senza attività sessuale, sotto il segno del film “largo”, adatto a tutti, per ogni fascia di pubblico possibile, un cinema levigato in ogni spigolo e sterilizzato da qualsiasi umore. Il fenomeno Cinquanta Sfumature sembra per un attimo poter spezzare questo dominio neo-puritano ma i film non generano lo stesso clamore dei libri e, con l’ascesa dell’MCU, la situazione si aggrava ulteriormente perché spariscono anche i baci e la semplice attrazione tra i personaggi. La plastica regna sovrana sulla carne e per un lungo periodo, il cinema delle major americane sembra destinato a diventare un luogo popolato da pupazzi privi di desiderio. Come dicevo sopra però, il cinema indipendente americano e le cinematografie europee, cinesi, giapponesi e coreane, non si arrendono e continuano a proporre film capaci di parlare di tutto, anche di sesso trovando spesso un sorprendente successo, non solo di critica ma anche di pubblico. Ed è a questo punto che Hollywood si ricorda che anche lei sa produrre e portare in scena pellicole del genere e, un poco alla volta, ibridandosi con il genere sentimentale ecco che il genere erotico torna nella serie A del cinema americano.

E dopo The Idea of You, A family affair (sempre con la Kidman), Saltburn, Tutti tranne te, Challengers, Queer (pellicole molto differenti ma che hanno come motore narrativo l’attrazione e un qualche tipo di relazione sessual-sentimentale scandalosa) ecco che arriviamo a questo Babygirl, scritto e diretto da Halina Reijn, regista olandese che ama provocare, e interpretato da Nicole Kidman, un’attrice che le tematiche erotiche le ha sempre affrontate e benissimo (nel già citato Eyes Wide Shut ma anche in Da morire di Gus Van Sant e vari altri).

La trama in breve: Romy Mathis (Nicole Kidman) è una potente CEO sessualmente inappagata dal marito (Antonio Banderas) che un giorno vede in strada un giovane ragazzo prendersi cura di un cane. La donna resta in qualche maniera ipnotizzata da quella scena che sembra fare eco con qualcosa dentro di lei che non riesce a comprendere. Successivamente, il giovane ragazzo (Harris Dickinson) per un fortunoso scherzo del destino, si presenta per un ruolo da stagista proprio nell’azienda della donna, che si troverà a doverlo seguire nell’apprendistato. Da qui in poi, in un ambiguo gioco di potere, dominazione, sottomissioni, consapevolezza e consenso, tra i due si svilupperà una relazione sessual-sentimentale dai toni kink. Cosa dire del film? Intanto che Halina Reijn è estremamente consapevole delle regole e del cinema con cui si sta confrontando e che la sua pellicola non manca di omaggi e citazioni a tante opere che l’hanno preceduta e, in particolare, al lavoro di Adrian Lyne, che con 9 settimane e ½ e Attrazione fatale, ha letteralmente definito la grammatica del racconto e gli stilemi, visivi e musicali, di questo tipo di film. E proprio dal mashup dei due titoli citati emerge questo Babygirl che, sostanzialmente, riprende il plot del primo, ibridandolo (solo in apparenza) con le meccaniche tensive del racconto. In più, come novità aggiunta al mix, Rejin intercetta anche la tendenza-moda recente di storie cinematografiche basate sul rapporto tra una donna matura e un giovane, in un’ottica di ribaltamento delle parti di grande attualità. Rejin però non è un’autrice superficiale e conosce bene la materia che ha deciso di trattare, quindi, nonostante la forma patinata e un poco modaiola, Babygirl si risolve come un film che tratta in maniera seria, lucida e priva di moralismi, il tema delle relazioni basate sullo squilibrio di potere, il dominio, la sottomissione, l’umiliazione (cercata, desiderata e accolta, mai imposta con la forza) e, soprattutto, quelli della consapevolezza, del consenso e dell’emancipazione (sessuale e umana).


È un film erotico, Babygirl? Molto. E non tanto per quello che mostra (anche se qualche immagine sia indubbiamente perturbante) quanto per quello che racconta con lucida onestà e realismo. E, ancora di più, Babygirl è un film per adulti, dove con “adulto” non mi riferisco a una platea definita dal mero (e spesso, purtroppo, poco significativo) dato anagrafico, ma a un pubblico con dotato di una maturità intellettuale, emotiva e sessuale, capace di capire i temi, complessi e sfumati, che vengono messi sul piatto. Ora, se siete dentro alla cultura kink, forse la pellicola potrà apparivi un pizzico vanilla e parecchi passi indietro rispetto, per esempio, a un Secretary (film del 2002 diretto da Steven Shainberg) che pure non era chissà quale pellicola estrema ma, per un film mainstream che si rivolge a un pubblico ampio, vi assicuro che non è un’opera facile o immediatamente digeribile. È un film che farà parlare le persone dopo che saranno uscite nella sala e che, ne sono certo, smuoverà qualcosa dentro molte persone che magari hanno sempre desiderato un certo tipo di relazione ma non hanno mai saputo comechiederla.
In sintesi, è un buonissimo film. Forse gli manca una qualche zampata decisiva per essere eccellente e, forse, essendo un film estremamente ragionato e razionalizzato, tende a essere un pizzico freddo quando dovrebbe invece essere caldo, ma ce ne fossero di più di pellicole del genere, saremo tutti più felici.

Andatelo a vedere e poi, parlatene con chi vi sta accanto.