Cinema

A Complete Unknown, Bob Dylan senza compromessi

Pubblicato il 21 gennaio 2025 di Redazione

Articolo a cura di Federico de Feo

“Arrivai nel cuore dell’inverno. Il freddo era brutale e la neve si era ammassata in ogni arteria della città, ma io venivo dalle Terre del Nord già strette dalla morsa del gelo, un piccolo angolo di mondo dove le nere foreste gelate e le strade ghiacciate non mi facevano paura. Quelle erano le difficoltà che potevo affrontare. Non cercavo né denaro né amore. Ero in uno stato di esaltata consapevolezza, ben preciso a seguire la mia strada, privo di senso pratico e visionario dalla testa ai piedi. La mia mente era tesa come una trappola e non avevo bisogno dell’approvazione di nessuno. Non conoscevo neanche un’anima in quella buia e gelida metropoli, ma le cose sarebbero cambiate presto, molto presto”.

Con queste parole il giovane Bob Dylan dava inizio al suo diario di bordo, Chronicles Part One, trasportandoci nel suo viaggio on the road che ne avrebbe definito l’essenza, trascendendo il tempo e lo spazio. Perché sì la sua figura è sempre stata multipolare, mistica, cangiante, avvolta da un alone di mistero e dalle stesse incongruenze di un’America rurale e poi metropoli, di cui ne è stato l’autentico narratore con tutti i suoi vizi e virtù.

Cantastorie del popolo, anima elettrica, poeta maledetto, avventuriero nei treni merce, la sua vita si potrebbe definire come un perenne romanzo formativo, in cui ogni esperienza realmente vissuta e non, è stata la scintilla per la nascita di un nuovo periodo artistico, senza alcun compresso. Ma chi è stato veramente Bob Dylan? Chi è, chi sarà?

Nei molteplici racconti di cui è stato protagonista, sia personali che sotto la lente di ingrandimento di molteplici cineasti, come non ricordare il bellissimo I’m Not There di Todd Haynes o i documentari di Martin Scorsese, No Direction Home e Rolling Thunder Revue, l’essenza di Dylan è sempre stata mostrata come qualcosa di non perfettamente tangibile, quasi al di fuori della sua stessa entità terrena. Un ragazzo e poi un uomo perso nei suoi stessi racconti, nell’essenza umana di chi vuole essere narratore ma non il messia risanatore di ogni male. Lui stesso diceva delle sue canzoni:

“Non c’era niente di allegro nelle canzoni folk che cantavo. Non cercavano di piacere a nessuno e non trasudavano dolcezza. Non si facevano gentilmente portare a riva dalle onde. Diciamo pure che non erano commerciali. Per le radio il mio stile era troppo incostante e troppo difficile da etichettare e quelle canzoni, per me, erano troppo importanti per essere ridotte a puro intrattenimento. Erano loro il mio precettore, la mia guida verso una conoscenza alterata della realtà, una repubblica diversa, una repubblica liberata”.

Definire oggi cosa sia Bob Dylan per la cultura contemporanea è altamente complicato, non tanto per la vastità della sua opera, meritevole senza alcun dubbio del Premio Nobel per la Letteratura conferitogli nel 2016, ma soprattutto per non essere mai stato qui effettivamente presente tra noi.

Nella sua figura scostante, aliena, iconica, Dylan ha ingabbiato tutto il passato, presente e futuro in una strada lunga iniziata dal niente e in cui ogni suo adepto ha cercato di trarne una spiegazione e un via. Ma può oggi il cinema rendergli finalmente onore?

A Complete Unknown di James Mangold, in sala dal 23 gennaio, affidando il ruolo di Mr Tamburine all’attore generazione per eccellenza Timothée Chalamet, riesce nell’intento di rendere la storia di Dylan comprensibile ai più sfidando le convenzioni del biopic contemporaneo e facendo si che attraverso il suo processo si possa comprendere cosa il cantautore sia stato per un’intera generazione e come se ne sia conseguentemente e volutamente separato; perché l’arte non è mai un compromesso.

Nonostante sul film, fin dal suo annuncio, aleggiasse un’aurea di profondo scetticismo, sia per la difficoltà nel rappresentare un’artista come Dylan, ma anche per il ruolo che svolgono oggi i biopic, molto spesso sintetici e banali con fini puramente commerciali, James Mangold arriva al compimento di un’opera, che se pur canonica nella sua forma, rende onore a una delle fasi fondamentali della carriera del menestrello, da cantore del popolo ad artista visionario, rendendo il tutto fortemente musicale e dando finalmente importanza al fine meta-testuale insito in ogni canzone.

Il Dylan che ci troviamo a osservare, fin dalla prima sequenza di A Complete Unknown, ha già iniziato il viaggio che lo porterà a essere il cantore dell’America contemporanea. Perso nei meandri del Village di New York, alla ricerca del suo padre artistico Woody Guthrie, Dylan prenderà lo scettro di nuova voce del Folk trascinando tutti con se in una fase splendente che vedrà il suo compimento nell’edizione del 1963 del Newport Folk Festival. Ma era effettivamente ciò che voleva?

“Il Greenwich Village era pieno di Folk Club e quelli di noi che ci suonavano avevano in repertorio tutte le vecchie canzoni folk, blues rurali e pezzi da ballo. Alcuni si scrivevano le loro canzoni facendosi ispirare da alcune storie tratte da articoli di giornale, anche io ne scrissi un paio e le infilai nel mio repertorio, ma in realtà non pensavo che fossero niente di speciale. Di canzoni cosiddette di attualità ne cantavo parecchie, c’era sempre un punto di osservazione dal quale guardare la storia e prenderla per quello che era, ma le canzoni d’attualità non erano canzoni di protesta. La definizione di cantante di protesta non esisteva, o eri un folksinger o no. In seguito cercai di spiegare che io non pensavo di essere un cantante di protesta, che c’era stato uno sbaglio. Io non stavo protestando contro un bel niente”.

La sua visione cantautorale fu sicuramente influenzata notevolmente dai suoi primi anni newyorchesi, da quella che fu la sua prima musa ispiratrice, Suze Rotolo (interpretata da Elle Fanning) che lo inizierà ai crescenti movimenti civili contro la segregazione razziale, ma le canzoni di Dylan seguivano un canovaccio che era molto più ampio. Le sue strofe erano la rappresentazione di ciò che stava avvenendo come specchio di una nuova società pronta a esplodere, ma il suo fine, come dichiarato dallo stesso autore, non era prettamente di protesta. Bob Dylan fornì alle nuove generazioni un nuovo modo di pensare, di rapportarsi alla realtà circostante, ma non ne voleva essere il leader.

Master of War, The Time They Are A-Changin’, Blowing in The Wind, Don’t Think Twice, It’s All Righterano lo specchio di un’America che nel 1961 ribolliva di nuove speranze e da osservatore e narratore eccezionale quale era Dylan, anche i suoi testi trasudavano tali contenuti. Ma a che costo? Per rimanere ingabbiato per sempre in un genere di cui non si sentiva portatore, nel messia del folk?

A Complete Unknown cattura dettagliatamente la trasformazione di Dylan nel Picasso del rock mettendo in mostra come, a discapito dei propri fan e adepti, così come di coloro che ne avevano alimentato il mito come Pete Seeger (Edward Norton) o la stessa Joan Beaz (Monica Barbaro), il menestrello del Minnesota comprese come la rivoluzione tanto decantata si sarebbe arenata dì lì a poco, portando violenza, catastrofi, a cui il mondo non era ancora pronto. Dal rischio di una Guerra Nucleare all’implosione del movimento hippy, Dylan seppe trarre dal suo racconto personale in Higway 61 Revisited, una parata di ossessioni e invettive, una febbricitante galleria di demoni in cui nessuno veniva risparmiato, anticipando di gran lunga ciò avverrà nel 1969 con l’omicidio di Sharon Tate da parte della Family di Manson, che sancirà per sempre il fallimento della rivoluzione hippy.

Con la sua esibizione del 1965 al Newport Folk Festival, annunciata inizialmente in pompa magna vendendo oltre 70 mila biglietti, Dylan sancirà la fine del suo rapporto con il movimento folk passando al lato oscuro dell’elettrica e spogliandosi dalle sue vesti di Messia per diventare il Giuda per antonomasia.

“Il mondo della musica folk era stato un paradiso che dovevo lasciare, così come Adamo aveva dovuto lasciare il giardino. Era troppo perfetto. Di lì a pochi anni una vera e propria bufera di merda si sarebbe scatenata. Tutto avrebbe cominciato a bruciare, reggiseni, cartoline precetto, bandiere americane. Tutti a sognare un’eccitazione senza fine. La psiche dell’intera nazione stava per cambiare e in molti modi sarebbe stata simile alla notte dei morti viventi. Laggiù, più avanti, uno strano mondo stava per svelarsi, un mondo tuonante, dagli spigoli taglienti come fulmini. Molti non loro capirono e non lo avrebbero mai capito. Io ci entrai senza esitare. Una cosa era sicura, non solo non era retto da Dio, ma non era retto nemmeno dal diavolo”.

A Complete Unknown riesce brillantemente nell’intento di raccontare e mostrare tutta l’essenza di quegli anni, nel fermento del Village e dell’epopea dei Festival, in cui Dylan seppe muovere perfettamente i suoi primi anni artistici, così come la sua conseguente affermazione. Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la direzione di James Mangold che già con Walk The Line, incentrato su Jonny Cash, aveva saputo raccontare perfettamente l’epopea della sua affermazione.

Dalla scelta del cast alla registrazione di ogni singolo brano in scena, raccogliendo quella pasta sonora ancora indimenticabile, A Complete Unknown si dimostra come uno dei film più interessanti di questo anno cinematografico regalandoci un Timothée Chalamet che costruisce su di sé un Dylan antesignano a cui l’attore ha lavorato per ben cinque anni. Scavando in ogni aspetto del menestrello di Duluth, Chalamet ricrea su stesso la genesi del mito, suonando come lui, muovendosi come lui, tanto da tappezzare la sua stanza di continui richiami alle opere di Dylan e a intraprendere un viaggio nella Bob Land.

Nel 2023 Andrew Clark, Programmatic Advertising Manager per OMD USA, facendosi semplicemente riprendere dalla propria ragazza mentre attraversava le strade gelide di New York paragonò la sua camminata al giovane di Dylan mentre veniva raffigurato nell’ormai iconica copertina di Freewheelin’ Bob Dylan. Da lì in poi il video divenne subito virale su TikTok tanto da dare vita a uno dei trend più interessanti dello stesso anno, denominato Bob Dylan Core. L’esperimento non si rivelò fantasioso non solo per coloro che ne volevano replicare il trend, ma divenne una vera e propria riscoperta dell’artista tanto che in alcuni campus universitari, come l’Emerson College di Boston, si tennero delle vere e proprie feste in suo onore. Ma cosa ci dimostra tutto ciò?

L’eredità culturale di figure iconiche come Bob Dylan ritrova costantemente nuova linfa attraverso linguaggi contemporanei e interpreti generazionali. L’interesse virale per il trend Bob Dylan Core ha anticipato il ruolo strategico che un attore come Timothée Chalamet potesse avere nel rendere il mito di Dylan accessibile a un pubblico più giovane. Chalamet, con il suo carisma e la capacità di incarnare figure complesse, diventa il ponte perfetto tra passato e presente, trasformando la riscoperta dell’artista in un fenomeno culturale trasversale e unico.