Mettiti comoda, nonna, ché di cosucce da dire su questo teaser trailer del Superman di James Gunn, diffuso ieri, ce ne sono tante. Talmente tanto, che divideremo il discorso in due parti, altrimenti so che non leggi tutto tu, figurati la signora Cenzina che si ritrova un link sui social in mezzo a mille, a metà della catena di buongiornissimo su WhatsApp. Adesso parliamo del Perché è tutto così colorato, Superman incluso?, più tardi passiamo al Perché Superman ha un cagnetto? Che capelli assurdi ha quel tizio interpretato da Nathan Fillion? e alle altre domande che si fa la gente sull’Internet. E che problema c’è, siamo qui apposta, nonna (ricordatene la sera della Vigilia quando mi fai la busta, mi raccomando). Andiamo.
So che molti si concentreranno ora sull’affetto per Henry Cavill, ma non è quello il punto. Facciamola perciò breve: gli vogliamo tutti bene? Cavolo, sì. Era una scelta adatta per il Superman del nuovo corso? No, e non solo perché era necessario un segno di discontinuità. Henry va per i 42, non puoi costruire sulle sue spalle muscolose una saga che, se tutto va come deve, si svilupperà per anni e anni, o ti ritroverai con un Superman over 50 (nota per Gunn e Safran: il che non vieta di ingaggiarlo fra qualche anno per un film fuori continuity su Kingdom Come, così facciamo tutti felici, ok?).
Come sarà il Superman di David Corenswet – a parte debitore del look del Clark Kent di All Star Superman, fondamentale mini a fumetti di Grant Morrison e Frank Quitely, menzionata tra le sue fonti di ispirazione da Gunn – lo sapremo solo all’arrivo della pellicola nelle sale, perciò ora preferisco concentrarmi su un aspetto altrettanto importante, perché è una scelta di base, fondamentale per l’impostazione da dare a questo film. E non solo a questo film.
Nella foto qui sopra: a sinistra, foto posata e fotogramma del trailer con la prima apparizione del nuovo Superman, a destra il Superman del film L’uomo d’acciaio (Man of Steel) di Zack Snyder e il Superman di Christopher Reeve del 1978. Qualcuno, dando un’occhiata veloce all’immagine, potrebbe dire che i film sui super-eroi ce ne hanno messo di tempo per potersi permettere di nuovo al cinema i colori, quelli saturi, quelli da fumetto. Quel qualcuno avrebbe ragione.
Qui la faccenda è duplice. Da un lato, abbiamo visto negli ultimi anni in una lunga serie di film il ritorno/la comparsa di costumi ed elementi di costumi che non pensavamo avremmo mai visto in un film live action, dal giallo e dalla maschera di Wolverine in Deadpool & Wolverine al costume tradizionale di Spider-Man nell’epilogo dell’ultimo film con Tom Holland. I Fantastici Quattro promettono sin dal primo poster di portarci in una versione alternativa degli anni 60 colorata come quella vera.
Da una parte non c’è più l’esigenza che veniva avvertita 20 anni fa di coprire di pelle scura e rendere meno colorati gli eroi dei fumetti, tanto per distanziarli dal Batman camp degli anni 60 con Adam West quanto per calarli meglio nei multisala in cui avevano furoreggiato Matrix e i Batman di Tim Burton. Gli X-Men diventavano una banda di stilosi motociclisti (spunto ripreso subito dopo, nei fumetti, dai summenzionati Grant Morrison e Frank Quitely), Daredevil diventava il diavolo rosso mattone di Hell’s Kitchen, e così via.
Ma i super-eroi sono da oltre quindici anni il genere dominante in fatto di cinema d’azione/avventuroso/fantascientifico, e sono arrivati a potersi permettere qualunque cosa. Semmai, in alcuni casi, il punto è proprio distanziarsi dall’approccio tetro di chi è venuto subito prima: se c’è una cosa che i Marvel Studios vogliono far capire del loro nuovo film sui Fantastici Quattro è che sarà l’OPPOSTO del tetro, terribile, terremotato Fantastic Four di Josh Trank.
Peraltro, il mondo ha fatto a tempo in questi anni a diventare un posto infinitamente più buio e oscuro, in tutte le accezioni possibili. Se c’è un momento in cui l’intrattenimento, il cinema d’evasione ha spazio e campo per riscoprire il sense of wonder, la meraviglia dei super-eroi e dei loro mondi fantastici, cacchio se è questo.
L’altro aspetto è che i colori, nello specifico, per Superman sono fondamentali. Snyder ha calato Superman, come tutti gli altri personaggi con cui ha avuto a che fare, nel suo mondo di toni sabbiati e slow motion, perché quello era ed è il suo stile, che si parli di spartani alle Termopili, di quel povero psicopatico di Walter Joseph Kovacs o di muscolosi supertizi con una madre chiamata Martha. E a lui, a Snyder, era stato affidato il compito di dare il tono al DC Extended Universe, alla sua Justice League, a tutto il resto, strizzando già che c’era entrambi gli occhi al realismo portato da Nolan a Gotham.
L’errore di fondo del fu DC Extended Universe, secondo il mio umile parere, è però che non puoi trattare Batman e Superman allo stesso modo, per la semplicissima ragione che non è così che sono nati e sono stati raccontati per oltre ottant’anni.
Batman e Superman, Bruce e Clark, se li guardi senza costume si somigliano. Stessi capelli, (quasi sempre) stessi occhi chiari, identica corporatura: tanto è vero che nell’immagine qui sopra si sono scambiati i costumi, in un doppio appuntamento con Lois e Selina al luna park, in un fumetto di Tom King e Clay Mann di qualche anno fa, e se non ve l’avessi appena detto vi stareste solo chiedendo perché Superman sia così accigliato. Non cosa ci faccia Bruce Wayne nel suo costume. Eppure, i due personaggi sono completamente diversi in tutto, uno l’immagine speculare dell’altro:
(Mr. Jim Lee, tutto il discorso in una sola immagine.)
come sa chiunque e il suo spacciatore di fumetti, Superman è il sole, Batman la notte. E non parliamo solo di orari di attività diversi. Superman nasce per incarnare il sogno americano (anche se uno dei suoi co-creatori era canadese e l’altro figlio di immigrati dalla Lituania), e più in generale la positività, i sogni, le speranze. È una scia luminosa e colorata in un cielo azzurro (cos’è che mostra il primo poster del Superman di Gunn?), verso cui puntano l’indice i ragazzini di ogni età, di dieci o di ottant’anni, stupiti dal manifestarsi di questo prodigio. “È Superman!” è una frase che ovunque, da quasi novant’anni, viene pronunciata dai personaggi con un sorriso. Superman, alla bisogna, è anche il divino che scende sulla Terra, inquadrato dal basso e con il sole alle spalle, come in una pagina dipinta da Alex Ross, ma anche lì, le emozioni che suscita in chi si trova davanti (e per traslato al lettore/spettatore, se la messa in scena funziona) sono solo positive.
Batman no. Batman è figlio delle figure pulp che lo hanno preceduto, è una creatura della notte che nasce per terrorizzare i suoi nemici e che mette a disagio perfino i suoi alleati. Pensate per un attimo a quel povero commissario Gordon, che se lo vede scomparire davanti, con quel trucco da ninja, ogni santissima volta, sempre a metà discorso. È una sagoma luminosa proiettata tra le nuvole di una città avvolta perennemente nelle tenebre: un richiamo per IL predatore della città. Non è super, ha dalla sua solo l’intelligenza, l’allenamento e i suoi “magnifici giocattoli”. La luce alle sue spalle, se c’è, serve solo a creare contrasto, ad ammantare di buio quest’ombra che si sta per abbattere su chi ha la sfortuna di trovarsela davanti.
“È Batman!” è una frase che da decenni pronunciano i criminali l’ultima volta che hanno ancora tutti i denti in bocca, prima di seminarli su qualche tetto o in una bisca del Pinguino. Batman non è il sogno di nessuno, ma l’incubo di tanti. Se Metropolis è una città luminosa come molte altre – cosa la distingue, se non l’edificio del Daily Planet? – Gotham è la vera co-protagonista delle storie di Batman, più di quanto non lo saranno mai un Robin, un Nightwing, un Alfred. Per usare i titoli di due celebri storie di Alex Ross (da cui vediamo dipinti i due eroi qui sopra), Superman è la pace sulla Terra, Batman la guerra al crimine.
Infine, Superman è Clark Kent, sono la stessa persona, con o senza occhiali, con o senza goffaggine posticcia da giornalista pasticcione, e Clark è fondamentale per Superman, visto che è l’unico modo che ha questo povero tipo precipitato da un altro pianeta (nel mentre esploso) di stare in contatto con le persone, non sentirsi solo, innamorarsi. Bruce Wayne, al contrario, per Batman è solo una scocciatura: una maschera che è costretto a indossare di tanto in tanto, prima di tornare alla sua lotta senza fine al crimine. Batman non è Bruce Wayne, finge solo ogni tanto di esserlo, e se potesse ne farebbe tranquillamente a meno.
I loro mondi sono diversi, loro sono diversi, il loro modo di pensare è diverso, quello in cui li vedono gli altri è diverso. Ora: sei James Gunn e con Peter Safran ti hanno messo a capo del nuovo universo condiviso degli eroi DC. Anche se quello va per la sua strada, con un suo sottouniverso di produzioni separate, c’è già in giro un Batman di successo, quello del The Batman di Matt Reeves, che è esattamente come dovrebbe essere Batman, tetro, pucciato nella notte, tutt’uno con le tenebre della sua Gotham, e tutto il resto.
Tu, invece, Gunn, devi riportare in scena il primo degli eroi, DC e non, e puoi scegliere il tono da dare all’eroe e al suo mondo, non solo al suo costume di nuovo munito di mutandoni. In quanto persona in gamba, hai studiato negli ultimi anni molto bene il tutto, i precedenti, la psicologia del personaggio. A mezzo social, hai rassicurato tutti sulle fonti a cui ti sei ispirato. E il momento, dicevamo sopra, è peraltro propizio per tornare a quei colori, esterni e in termini di mood del tutto. E allora lo fai.
Ti infili in una cabina, allenti la cravatta, apri la camicia e sotto c’è un costume rosso, blu e giallo, in cui il blu è di nuovo blu, e non blu notte, il rosso è rosso, non bordeaux, il giallo è giallo, non ocre. E al centro di quello scudo giallo sul petto c’è una S rossa stilizzata, che ricorda quella del Superman di Kingdom Come e che – lo sanno tutti – sta per Staarrivandoilsupermanchealessandroapredachiededaanni.
James Gunn è quello che ci ha fatto divertire e commuovere con un orsetto lavatore e un albero antropomorfi, chi sono io per non dargli fiducia? Questo, cara nonna, ci porta ovviamente a parlare del super cagnetto. Più tardi, oggi stesso. Promesso.
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