Cinema

Star Wars: L’ascesa di Skywalker, cosa è rimasto cinque anni dopo

Pubblicato il 16 dicembre 2024 di Giulio Zoppello

Star Wars: l’ascesa di Skywalker a 5 anni di distanza rimane uno dei film più discussi, divisivi e importanti del panorama cinematografico recente, di certo non solamente di quello fantasy fantascientifico. Atto finale di una trilogia sequel dalla genesi complicata e gigantesca, grande successo di pubblico, ha lasciato spazio a riflessioni, dubbi e idee.

Il complicato ritorno in una Galassia lontana lontana…

Quando esce Star Wars: il risveglio della forza, nel 2015, il risultato al botteghino è semplicemente incredibile. Pochissimi film sono stati tanto attesi come quello che J.J. Abrams ci dona, con il ritorno di personaggi iconici, l’arrivo di nuovi, soprattutto di un villain come Kylo Ren. Tuttavia, fin dall’inizio si registra un curioso fenomeno: la differenza tra i feedback della critica ufficiale e ciò che il fandom della creatura creata da George Lucas (noto come il più agguerrito, difficile e per alcuni frangenti anche tossico che vi sia) riserva alla trilogia sequel.

Non è un particolare da niente, perché Star Wars: il risveglio della forza nasce dalla decisione da parte di Kathleen Kennedy e Bob Iger di andare verso nuovi confini, di non girare attorno a ciò che si era già visto e mostrato. Scelta obbligata, che viene premiata nel primo film con un grande successo economico da due miliardi. Roba da capogiro. Star Wars: il risveglio della forza con cui Rian Johnson piazza uno all-in coraggioso, apparirà però agli occhi di molti quasi una creatura separata, un nuovo primo film della trilogia, caratterizzato da grosse problematiche e contemporaneamente grandi intuizioni a livello di script, di andamento e utilizzo dei personaggi. Si può guardare al secondo episodio della trilogia, infatti, con entusiasmo per l’incasso, un miliardo e 400 milioni di dollari. Anche qui la differenza tra la critica, il pubblico generalisti e il fandom rimane però netta.

Le atmosfere, l’estetica e la stessa narrazione sono infatti molto diverse dalle due trilogie di George Lucas, Johnson è dotato di idee che forse sono troppo distanti sia da Lucas che dal fandom? 600 milioni in meno del primo. Ma davvero è colpa di Johnson? O una fetta di pubblico è rimasta delusa dal primo film? Così si arriva al 2019, J.J. Abrams che viene richiamato, dopo che Colin Trevorrow è stato allontanato per divergenze artistiche. Un taglio netto con il secondo episodio, la speranza è quella di tornare al primo film, che era più lineare certamente, con diverse similitudini con il capostipite della saga. Ci si mette in mezzo anche la morte di Carrie Fisher, un iter produttivo in cui la sceneggiatura viene riscritta così tante volte, che serve persino qualche suggerimento di George Lucas per cercare la quadra. Il risultato finale? Dati alla mano il film peggio accolto dei tre, un “solo” miliardo di dollari. Ma quindi cosa ha significato, Star Wars: il risveglio della forza?

Pro e contro di una chiusura forse troppo timida e prudente

J.J. Abrams il mestiere lo conosce, lo ha dimostrato in Mission: Impossible III, nel primo Star Trek del 2009, in Super 8, per non parlare di Lost, una di quelle serie che fanno la storia. Ma entrare in corsa come succede a lui, mettere le mani su un progetto così importante, con Kathleen Kennedy che cerca di allontanarsi da Lucas e coinvolgere le nuove generazioni di spettatori, già di per sé è un vero e proprio terreno minato. Forse il progetto necessitava di una mano autoriale più decisa?

Un dubbio che rimane, anche perché Lucas è Lucas, come fai a imitarlo? La Disney come con l’MCU rende Star Wars: l’ascesa di Skywalker un film oggettivamente a metà tra passato e futuro, ma si avverte un’incapacità di creare un world building autentico e in grado di apparire diverso da ciò che i sei film precedenti sono stati. Più di tutto, è la scelta di far tornare l’imperatore Palpatine il simbolo più colossale di quanto Star Wars: il risveglio della forza sia fin troppo prudente e timoroso dal punto di vista diegetico e semantico. Daisy Riley, John Boyega, Oscar Isaac e gli altri interpreti sono incatenati a personaggi a cui non si riesce a dare una reale connessione con l’ambiente circostante, con gli eventi, che si accalcano seguendo un montaggio che soffre delle tempistiche imposte dall’alto.

Adam Driver e Mark Hamill regalano però un momento significativo e monumentale, un duello finale che è più regno della mente che fisico, con cui il destino del salvatore sbucato da Tatooine si compie. Imperfetto per alcuni, ma di certo non privo di anima e coerenza. La critica però sarà incredibilmente severa, quasi a cercare di compensare l’eccesso di clemenza coi primi due film, diranno alcuni. Ma appare chiaro come il pubblico che paga non è un attestato di consenso, non sempre e mai come prima appare netto. Star Wars: l’ascesa di Skywalker con quella dichiarazione finale di Rey priva di una reale giustificazione, diventata uno dei meme più popolari sui social, ci ricorda il grande peccato originale della saga sequel: pensare di poter creare una trilogia esclusivamente per il pubblico generalista, dando come placebo al massiccio fandom (ricordiamolo il più tossico di sempre) piccole briciole. Forse era ed è un peccato di ingenuità, lo scopriremo con la nuova trilogia, ma ciò che si è fatto di buono con le serie televisive e animate, ci dice che una strada c’è.